ORE 12 – Controinformazione rossoperaia N. 9 – Testi

“ORE 12” esce in audio il lunedi/mercoledì/venerdi

martedi/giovedì/sabato pubblichiamo la trascrizione dei testi audio

Trascrizione dell’audio del 26 maggio – 9 

Morti sul lavoro – Occupazione della RAI – Il fascismo delle forze dell’ordine – sulle lotte dei lavoratori – Questo 2 giugno – Gli studenti e le tende – Non dimentichiamo Cutro

Questa mattina cominciamo con le morti sul lavoro

Due lavoratori sono morti ieri a Monopoli, lavoravano per una ditta di Conversano, in un lavoro di ristrutturazione delle fogne e degli impianti in questa città. Avevano 63

 anni uno e l’altro 64 anni. Sono stati seppelliti vivi dalla caduta di un detrito ed è stato inutile ogni tentativo per salvarli. Uno di loro era a un anno dalla pensione, l’altro aveva ancora qualche anno di lavoro. Erano lavoratori conosciuti dai loro concittadini come gente che non si tirava mai indietro e di quel tipo di lavoro avevano una certa esperienza. Ma avevano 63 e 64 anni! Era un lavoro faticoso, un lavoro che di solito viene considerato usurante

Per portare il pane a casa sono stati seppelliti vivi dalla logica degli appalti al massimo ribasso, dalla logica della mancanza di controllo sulla salute e sicurezza, dalla logica che uccide! Perché il capitalismo uccide, le leggi del capitalismo uccidono, i padroni uccidono, le amministrazionicomunali uccidono. 

Il crimine legalizzato è quotidiano, pagato con la pelle dei lavoratori. Avevano moglie e figli. Le condoglianze, i saluti delle istituzioni sono pure ipocrisia! Voi siete complici! 

Ma di morti sul lavoro nella giornata di ieri ci sono state altre. I numeri delle morti sul lavoro in Italia – e anche nella regione dove sono morti questi lavoratori – sono crescenti. E la morte sul lavoro colpisce lavoratori giovani come lavoratori anziani, colpisce lavoratori italiani e, molto, molto spesso, lavoratori stranieri, colpisce uomini e, in alcuni casi, donne lavoratrici. 

Nocivo non è il lavoro in sé, nocivo è il capitalismo che uccide, nocivi sono le leggi che i governi fanno per questo, nocivi sono le organizzazioni sindacali che non tutelano i diritti dei lavoratori. 

Sui confederali mettiamoci una pietra sopra. Le loro chiacchiere inutili, le loro manifestazioni di cordoglio, le loro promesse, sono senza senso e corrispondono a una crescente perdita di vite umane, perché se firmi accordi di merda, se non difendi il salario, se non difendi il lavoro precario, è chiaro che il lavoro sotto il Capitale uccide. 

Ci vuole per questo, da sempre, una Rete Nazionale per la sicurezza, una sorta di “braccio armato” del movimento dei lavoratori che trasformi ogni morte in questione nazionale, mobilitando non solo i lavoratori ma anche le loro famiglie, mobilitando tutti coloro che denunciano, tecnici, ispettori eccetera, mobilitando tutti in un braccio di ferro e attaccando le cause immediate di queste morti così come le cause strategiche. E invece niente di tutto questo! Siamo solo noi e alcuni ben intenzionati del movimento sindacale e di altre associazioni che si occupano di questo. 

Ma come se ne occupano? Per favore, non è che la vita di Cospito vale di più di quella di un operaio, e, giustamente, alla vita di Cospito si è opposto un movimento quotidiano di scontro con lo Stato. Perché la morte dei lavoratori non ha lo stesso risalto? perché le forme di lotta devono essere sempre le stesse, tradizionali, anche quando vengono dettati all’insegna di “mai più, basta morti sul lavoro”?

“Basta morte sul lavoro” significa guerra, guerra non condoglianze, basta morte sul lavoro non significa retorica sulle morti sul lavoro ma sempre – e solo – guerra, guerra di classe. 

La guerra, l’odio di classe, sono la forza motrice della lotta sociale e politica in questo paese

L’occupazione della RAI

Questo paese si scontra con un governo, un governo dei padroni come i precedenti. Ma nessun governo aveva mai detto così esplicitamente che la sua logica è quella di difendere i padroni. E questo nessuno lo può negare, né a destra né a sinistra e né nel movimento sindacale di classe: il governo Meloni non è un governo come tutti gli altri. 

Ai governi che “non sono come tutti gli altri” si oppone una lotta che non è come tutte le altre. E su questo sembriamo dei predicatori nel deserto, nel deserto del movimento operaio e popolare in generale, nel movimento di classe a sinistra fuori dal Parlamento, nel movimento politico.

La Meloni ha occupato – e sta occupando – la Rai così come tutte le istituzioni. Si tratta di un’occupazione militare, di una sostituzione di giornalisti – senz’altro nominati dai precedenti governi e collegati storicamente anch’essi all’informazioni di Stato e all’informazione della classe dominante – ma una cosa è la normalità della democrazia borghese, un’altra cosa è l’ostentazione dell’occupazione come giusta e  necessaria, una cosa sono i professionisti che non sanno rompere con i partiti di appartenenza e una cosa sono fascisti che occupano le sedi pubbliche.

Quando si occupa, alla maniera del governo Meloni, la RAI, si tratta un “colpo di Stato”, si tratta di un uso dello Stato al servizio di una dittatura aperta. La differenza tra la normalità della democrazia borghese nell’occupazione dell’informazione e mettere i propri uomini in maniera ostentata – non certo per valori professionali neanche lontanamente difendibili – nelle sedi Rai. Con un doppio scopo: quello di rendere l’informazione al servizio di una dittatura aperta e quello di favorire i grandi affari sulle informazioni; perché evidentemente la Rai nelle mani di questi personaggi nominati recentemente – che si fa fatica a scriverne un curriculum – significa una Rai depotenziata e quindi tutto il potere a Mediaset, tutto il potere alle televisioni nelle mani delle grandi multinazionali. Quindi peggio di Berlusconi. Anche Berlusconi fece lo stesso, ma questo governo è peggio di Berlusconi.

E tutto questo non può passare sotto silenzio! tutto questo richiede una reazione adeguata e contraria. “Adeguata e contraria” significa non rendere pacifica la lotta, la controinformazione, la denuncia, non rendere pacifica la lotta contro tutto questo. 

“Non rendere pacifica la lotta” si può dire che sia il messaggio principale che noi facciamo su tutti i fronti. Su tutti i fronti questo governo marcia verso il moderno fascismo, verso la dittatura aperta: lo fa in maniera dichiarata e non bisogna far finta di non capire o nascondere la testa nel sacco.

Esprimiamo la piena solidarietà al professor Canfora che è stato querelato dalla Meloni per aver parlato di Meloni neonazista. Non lo ha fatto ora che questa è al governo, lo ha fatto quando la stessa era all’opposizione e non lo ha fatto certo facendo esplicitamente il nome e cognome della Meloni. Ma il professor Canfora ha ragione. Meloni forse come background sembra tutto tranne che uno coi baffetti alla Hitler ma, sicuramente, tutta quella ciurma, tutta quella lurida ghenga familiare e politica che la circonda, ha un ampio pedigree di legami con l’estrema destra nazista, viene da lì, viene da tutto quello che sa di feccia, di fogna in questo paese, che ha potuto nascondersi con l’ausilio di una legge elettorale truffa e ha potuto diventare governo del paese.

Così siamo solidali alle centomila firme raccolte per le dimissioni di quell’altro lurido personaggio posto a capo delle istituzioni come seconda carica dello Stato, rappresentato da La Russa. Centomila firme non sono poche. Ma è chiaro che non è con le firme che cacceremo La Russa. 

Il fascismo non si caccia con le firme, i fascisti non vanno a casa perchè qualcuno non li vota o perché qualcuno mette una firma contro. I fascisti vanno a casa come ci hanno insegnato i Partigiani: con la lotta aperta, il coraggio, l’opposizione, la disobbedienza civile e la lotta armata. Senza lotta armata il fascismo non va via dal potere. Se questo governo consoliderà la sua strada moderno fascista, di dittatura aperta, la lotta armata è la risposta democratica, di massa, antifascista, rispettosa della Costituzione che questo paese ha necessità di intraprendere.

Il fascismo delle forze dell’ordine

È inutile dire che l’occupazione dello Stato alimenta tutto il fascismo delle forze dell’ordine

Su questo due testimonianze su due clamorosi casi sulla stampa: quello della transessuale picchiata da vigili vili – perché in divisa sono soprattutto i vigliacchi che ci vanno, gente che si arroga in quanto ha una divisa di poter fare tutto quello che gli pare, di stimolare i loro bassi istinti e colpire persone indifese.

Era avvenuto anche recentemente verso un lavoratore a Taranto, siamo stati soli a denunciarli. Nessuno di quei vigili a Taranto è stato, per ora, sospeso, l’assessore li ha difesi e il sindaco sostanzialmente ha fatto uguale. E questa gente in giacca e cravatta pretende di presentarsi come rappresentante della comunità! Così come chiaramente non abbiamo alcuna fiducia nelle inchieste contro questi vigili a Milano. 

Che dire poi dei Carabinieri? abbiamo visto il video di ieri: ma il problema non è parlarne, è comprendere che alla violenza di Stato c’è una sola risposta: la denuncia, la mobilitazione di massa e la violenza proletaria.

La violenza proletaria è un fattore – ripetiamo – di civiltà, di giustizia, di riequilibrio della forza e non essere per la violenza proletaria, nascondersi dietro il dito delle parole, temere la repressione per questo è una delle forme della vigliaccheria politica che portano i fascisti al potere.

La situazione dei lavoratori. Ma sulla lotta da fare ancora non ci siamo

E le masse? le masse lottano, vorrebbero lottare, ogni giorno pagano sulla propria pelle e non diciamo quando pagano con la vita, con la distruzione, come nell’alluvione – su questo abbiamo già parlato e continueremo a parlarne in ogni caso.

Noi parliamo della violenza economica dei bassi salari, della violenza economica dello sfruttamento e della disoccupazione: contro questo è chiaro che salutiamo tutte le lotteOggi sciopera l’USB, domani c’è un manifestazione a difesa del reddito nella città di Roma. Due manifestazioni che condividiamo. 

Sul salario ne abbiamo parlato da sempre. Noi saremo anche un piccolo gruppo che guida un piccolo sindacato ma siamo da sempre coloro che dicono che il salario è centrale, il salario è politico, l’attacco ai salari è il cuore delle leggi del Capitale esercitate dentro la crisi. La lotta sul salario è, quindi, centrale, senza la lotta sul salario non si difendono le condizioni di vita dei lavoratori.

Ma come si fa la lotta per il salario? si fa sui posti di lavoro, con gli scioperi alla francese o, per non andare molto lontano, come gli scioperi recenti a Pomigliano, con gli scioperi selvaggi. Operai che prendono nelle mani la questione che non ce la fanno più e si fermano, senza permesso di sindacati, con la copertura eventualmente dei sindacati. Questo permette di aprire una nuova stagione degli scioperi sul salario.

Ma su questo è lontanissima questa logica dall’USB e dal suo sciopero. L’USB non è sostenitrice degli scioperi selvaggi ma degli scioperi “ben organizzati” di un settore, autoreferenziali dei lavoratori. 

L’USB è il sindacato di base più forte numericamente, esistente in questo paese. Ma la lotta sindacale, pur necessaria, condotta in queste forme, ci insegna Lenin, non è in grado, nella crisi, di difendere le condizioni di lavoro. Serve la lotta sindacale come lotta selvaggia e serve la lotta politica per rimuovere le cause che originano la condizione operaia sul salario. L’USB ha tutt’altra intenzione. 

E quindi per questo sosteniamo i lavoratori in sciopero oggi ma bisogna seguire decisamente un’altra strada. 

Chiaramente di “quest’altra strada” le gambe sono principalmente le organizzazioni sindacali che hanno rotto con CGIL CISL UIL. 

L’unità delle organizzazioni sindacali di base e di classe è una fondamentale necessità, servirebbe una federazione, un sindacato unico, una normalità di questa unità. Ma in questa unità prevale il ceto politico che dirige i sindacati di base, e si tratta di ceto politico anche quando si maschera di autonomia, di appartenenze politiche anche all’estrema sinistra ma che non ha a cuore gli interessi generali dei lavoratori ma gli interessi particolari della forza che organizza. Questo significa diventare non la soluzione del problema ma parte della causa.

Serve lo sciopero selvaggio, serve l’unità sindacale di classe, serve lo sciopero generale (alla francese?)

Ma come ci si arriva? E questo è il punto. 

Nessuno di noi può dire di avere la verità in tasca ma la sincerità di dire le cose la deve avere, non travestita dall’ipocrisia che caratterizza anche i dirigenti del sindacalismo di base. 

Questo 2 giugno

Diciamo tutti i giorni alcune cose, non tutte le cose, ma bisogna ripetere, ripeterle, non staccarsi mai di ripeterle finché le parole si trasformino in fatti, finché una linea, una teoria, una visione, un’analisi, diventi carne e sangue di un movimento reale: è questo che trasforma le parole in fatti e i fatti verificano le parole.

L’Italia è in guerra e il 2 giugno si celebra la festa della Repubblica. Una Repubblica fondata su una Costituzione ipocrita, certo non nell’intenzione di chi anni fa l’ha redatta che, casomai, fu principalmente conciliante con le frazioni borghesi, eredi della Resistenza che sostituivano il fascismo. 

Ma l’articolo 11 ci dice che l’Italia ripudia la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali ed è una Costituzione avanzata su questo punto. Ma in questi anni non c’è un articolo più violato dai Presidenti della Repubblica. La lurida ipocrisia dei “Re Travicello” che sono Presidenti della Repubblica, che si credono rappresentanti del paese e poi servono il governo di turno, il potere di turno. Evidentemente fa parte delle pagine nere della storia di questo paese e su questo il silenzio è complicità. 

Che dire dell’articolo 1? Una Repubblica fondata sul lavoro – e tutti vediamo come il lavoro sia la prima preoccupazione di milioni di proletari, di milioni di disoccupati, di precari, di milioni di operai che vedono il loro lavoro messo sempre in discussione. Operai che, se messi in moto sarebbero una forza potente. Ma non sono messi in moto. 

Solo la messa in moto della classe operaia è in grado di mettere in discussione e rappresentare l’altra Repubblica, la Repubblica dei lavoratori, delle masse sfruttate, l’altro potere, perché senza il potere le masse non hanno nulla e il potere si conquista con la Rivoluzione. 

Anche il 2 Giugno dobbiamo affermarlo.

Gli studenti e loro tende 

che fine hanno fatto? Abbiamo auspicato che le tende aprissero una nuova stagione del movimento degli studenti, ma le tende non possono esistere solo quando la stampa ne parla, non possono solo servire a energie oneste per alzare la testa. O le tende sono centro di organizzazione di lotta del movimento dei giovani, degli studenti, oppure fanno parte del panorama obbligato di una società come quella italiana. Eppure gli studenti con la loro lotta hanno messo in luce un problema chiave: il diritto allo studio, il caro affitti, hanno aperto una grande vertenza sociale. Che, però, è frenata dalla loro limitata coscienza generale e dall’inutile sostegno delle forze che sono andate a “mettere i cappelli” con un paternalismo peloso. 

La verità è altra: le tende o sono un anello del “è giusto ribellarsi” che continua oppure, purtroppo, sono l’ennesima testimonianza del nulla.

Non dimentichiamo Cutro

Salutiamo con favore quello che il quotidiano la Repubblica pubblica oggi in merito al fatto che l’inchiesta di Cutro non è finita, che esiste ancora. Avere fiducia nella giustizia e nei magistrati purtroppo sembra essere un’illusione. I processi a Salvini razzista del periodo in cui è stato Ministro degli Interni sono nella palude dei Tribunali e si muovono secondo la logica che si vede sempre nei Tribunali: un parco buoi di avvocati che si scontrano in cui la giustizia si nega invece che affermarsi, con i giudici notai del nulla e non certo interpreti della necessità della giustizia che anche vicende come questa meriterebbero.

A Cutro è stato commesso un crimine, una strage rivendicata dal governo che ha dato alimento a un Decreto razzista, xenofobo, fondato sull’espulsione, sulla legittimazione/rivendicazione del crimine di Cutro. Le morti innocenti di Cutro e le loro famiglie non hanno ricevuto nessuna giustizia e su di esse è caduto il silenzio e questo silenzio è ancora peggiore della morte. E’ come ucciderli una seconda volta. 

Uccidere: siamo costretti a parlare un linguaggio di cronaca nera. Crimini, omicidi e così via: è possibile una società fondata sui crimini e gli omicidi? E’ possibile accettarla? Fino a quando la accetteremo? E che significa non accettarla? 

Ecco questo è quello che noi per primi ci poniamo e crediamo che tutti si debbano porre.

Pubblicato da fannyhill 

Acciaierie d’Italia: gira, gira ma la strada è sempre la stessa per il sistema del capitale

La vicenda Acciaierie d’Italia è emblematica che nel sistema capitalista il governo è un “comitato d’affari” al servizio dei padroni.

Che succederebbe, infatti, se lo Stato passasse, anche anticipando i tempi, in maggjoranza nella società “Acciaierie d’Italia”? (un passaggio tanto auspicato dai sindacati confederali, dall’Usb):

il governo prima salirebbe al 60%, ma sarebbe solo momentaneo, perchè poi cederebbe il 20% a imprenditori privati del settore – quello che vorrebbe il presidente della Federacciai, Gozzi, come abbiamo scritto nel depliand diffuso ad Acciaierie Taranto giovedì scorso -, ma suquesto 20% ArcelorMittal avrebbe il potere di dire SI o NO a un nuovo socio e potrebbe esercitare una propria opzione, che, QUINDI, LO FAREBBE TORNARE IN MAGGIORANZA! Sembra una sorta di “gioco dell’oca” in cui si torna sempre alla casella di partenza.

Un “gioco” vecchio del capitale, del padrone più forte tra i padroni, e sempre attuale. Il governo mette soldi (pubblici) i padroni comandano e incassano il profitto

In tutto questo aumentando lo sfruttamento degli operai e tagliando sui 3mila posti di lavoro.

Questi incontri cosiddetti “segreti” tra Mittal e governo confermano ampiamente quello che ha sempre detto lo Slai cobas, contro ogni illusione diffusa dai sindacati confederali e da Usb tra gli operai: o pubblico o privato l’attacco alle condizioni di lavoro e ai diritti è sempre uguale. 

Da Sole 24 ore del 26/5

Sull’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, torna tutto in discussione. Un incontro riservato che si è svolto nelle scorse settimane tra il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, e la famiglia Mittal, proprietaria di ArcelorMittal, socio privato con il 62%, ha riaperto lo scenario dello Stato che passa in anticipo in maggioranza nel capitale della società.
Il ministro delle Imprese e del made in Italy (Mimit) ha battuto ancora una volta sulla necessità di smuovere l’azienda, in cui il socio pubblico Invitalia detiene il 38%, da una situazione che viene
considerata sempre più, pericolosamente, di stallo. Per accelerare il piano di investimenti aziendali, ma anche per non rischiare contraccolpi indiretti su 1 miliardo di risorse per la decarbonizzazione prevista dal Pnrr, c’è l’intenzione di andare dal 38% al 60% prima della scadenza prevista dall’attuale contratto, cioè fine maggio 2024, rivedendo però contestualmente la governance. Lo strumento è la conversione in aumento di capitale dei 680 milioni di finanziamento stanziati con l’ennesimo decreto salva-Ilva approvato a inizio anno.
Ci sono però diverse variabili da tenere in considerazione, a partire dal dissequestro degli impianti finora negato dalla Procura di Taranto ma che potrebbe essere sbloccato come conseguenza dell’articolo 6 del decreto salva-Ilva (che ha introdotto lo scudo penale – ndr)

Il piano del ministero delle Imprese si articolerebbe in due fasi e lo schema è piuttosto complicato:

il governo potrebbe prima salire al 60% poi, in un momento successivo, cedere il 20% a imprenditori privati del settore (circolano da tempo i nomi di Arvedi e l’opzione di un consorzio di altri acciaieri italiani). Su questo 20%, tuttavia, ArcelorMittal potrebbe esercitare un’opzione che di fatto la riporterebbe in maggioranza nel caso in cui il nuovo socio non fosse di gradimento.

Il riassetto anticipato comporterebbe a carico del socio pubblico un esborso di 2-3 miliardi

Pubblicato da fannyhill

La giusta sacrosanta contestazione della ministra clerico- fascista anti donne, Roccella, nel racconto di chi l’ha fatta

Dal blog femminismorivoluzionario

“Adesso parliamo noi”: i contestatori della Roccella raccontano quello che è successo al Salone del Libro

Dopo giorni di polemiche e ricostruzioni di parte di quanto accaduto, Non Una di Meno, Extinction Rebellion e Fridays for Future raccontano quello che è successo al Salone del Libro: dalle ragioni della contestazione e la scelta di scendere dal palco fino al comportamento delle forze dell’ordine. Perquisizioni, telefoni sequestrati e persone strattonate fanno oggi emergere un’altra storia. “Se la nostra è violenza privata, le loro politiche sono violenza pubblica”.

Nei giorni successivi alla contestazione al Salone del libro di Torino, si sono susseguite tantissime dichiarazioni ai limiti della diffamazione nei confronti di Non Una di Meno, Extinction Rebellion e Fridays for Future. A rincarare la dose, le dichiarazioni della stessa ministra Roccella, che ha affermato: “Se non ci sono state aggressioni è anche perché c’era la polizia” e ancora “Ci sono stati dei tafferugli” [Il Giornale]. Frasi puntualmente smentite dai numerosi video presenti sul web e dagli stessi principi che definiscono i movimenti coinvolti.

Le reazioni politiche

Dopo che per giorni un coro compatto di ministri, esponenti del governo e politici come Meloni, Calenda e Renzi hanno potuto esprimere la propria interpretazione dei fatti su giornali e televisioni,  parlando di “fascismo degli antifascisti” [Adnkronos], “negazione del diritto di parola” [Fanpage], “squadrismo” [Il Tempo], arrivano adesso le dichiarazioni di chi ha messo in atto la protesta. “Abbiamo aspettato un po’ di giorni prima di prendere parola. Abbiamo lasciato l’opinione pubblica affannarsi atrovare la giusta definizione di fascismo, di libertà di parola e del diritto al dissenso in uno stato democratico” commentano da Extinction Rebellion e Non Una di Meno.

“La ministra Roccella e gli esponenti del governo che si sono espressi su giornali e TV in questi giorni, hanno tentato in tutti i modi di lasciar intendere che le persone che l’hanno contestata avessero intenzioni violente, distorcendo completamente ciò che è accaduto e diffamando movimenti che mai hanno agito con violenza” aggiunge Marta di Fridays for Future. “Non esiste un solo video in cui appaiono forme di violenza da parte di chi stava contestando. Invito tutti i politici e i ministri che si sono espressi in tal senso – da Meloni a Salvini – a provare il contrario, perché è troppo facile parlare per frasi fatte”.

I contenuti della protesta

Una protesta pacifica pensata per denunciare da un lato le posizioni della ministra Roccella [Open], che ha più volte dichiarato che “l’aborto è una scorciatoia che non dovrebbe più esserci”; dall’altroil governo nazionale e regionale, che a fronte di una crisi climatica ormai conclamata, continua a osteggiare qualsiasi misura volta a ridurre le emissioni e a inquinare irresponsabilmente il dibattito pubblico con affermazioni dichiaratamente negazioniste, come quelle del senatore Malan [La Repubblica]. “Ci hanno accusate di non essere disposte al dialogo e di avere impedito alla ministra di parlare. L’enorme spazio mediatico riservato agli esponenti del Governo su questa vicenda dovrebbe rendere chiaro a tutti l’asimmetria nell’accesso ai media di una ministra e di semplici cittadine. Dovrebbe renderci chiaro quanto parlare di fascismo e squadrismo sia grottesco” – dice Aurelia di Extinction Rebellion, come è già stato ripetuto da scrittrici come Michela Murgia [Adnkronos], Selvaggia Lucarelli [Instagram] e Roberto Saviano [Instagram]. 

Durante la contestazione tante persone sono intervenute per portare la loro testimonianza personale: “Soffro di vulvodimia ed endometriosi e spendo 300 euro al mese in cure mediche, che riesco a sostenere solo grazie a tantissimi straordinari. Mi fa arrabbiare vedere un milione di euro di soldi pubblici stanziati dalla regione Piemonte a favore delle associazioni antiabortiste, senza alcun riguardo per le liste di attesa infinite negli ospedali pubblici. Al Governo nazionale e regionale interessa dei corpi delle donne solo quando fa loro comodo, per normarli e controllarli. Non è più consentito sentirsi vittime di ingiustizia?” ha dichiarato Serena, attivista di Non una di Meno Torino.

Le 29 denunce e la reazione delle Forze dell’Ordine

Certamente non invitano al dialogo neanche le 29 denunce per “violenza privata”, annunciate a mezzo stampa dalla Questura di Torino e stigmatizzate, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano dall’avvocato torinese Claudio Novaro: “Hanno uno strano rapporto con la repressione del dissenso. La Digos si aggrappa sempre al fatto che un numero cospicuo di manifestanti è in grado di impedire lo svolgimento di una manifestazione, costituendo di per sé una minaccia. Ma è una ricostruzione fantasiosa”. Per capire quello che è successo sabato al Salone del Libro di Torino occorre però conoscere i fatti, guardare tutti i video dalla giornata, ascoltare e dare spazio al racconto di chi quella protesta l’ha messa in pratica. Il racconto che emerge, testimoniato dai video in circolazione, è di semplici persone che, usando i propri corpi e le proprie voci, si sono alzate per cantare dei cori e pronunciare parole di dissenso, in una protesta pacifica che mai ha sfociato nella violenza. Cori ai quali si è via via unita in solidarietà una folla variegata, che ha animato, rinvigorito e trasformato la protesta, mostrando come le posizioni di Roccella e Marrone sull’autodeterminazione delle donne abbiano suscitato sdegno anche tra i visitatori del Salone. 

Ma il racconto che emerge oggi dalle attiviste, parla anche di un pesante clima di intimidazione, di minacce da parte delle forze dell’ordine, di persone strattonate e trascinate via con la forza, di telefoni sequestrati e zaini perquisiti in maniera illegittima e senza mandato. Nei video che si vedono sul web, infatti, nonostante le persone presenti non abbiano mai opposto resistenza attiva, vengono afferrate in malo modo dalla polizia e trascinate via di peso. “Non appena mi sono alzata in piedi ed ho iniziato a cantare con la bandiera di Extinction Rebellion, due agenti mi hanno strappato la bandiera dalle mani, trascinandomi lontano dal palco con forza” racconta Bianca. “Hanno poi strappato dalle mani i cellulari di altre due persone, cercando di cancellare tutti i video, fatti proprio per testimoniare quello che stava succedendo. E questo le forze dell’ordine non possono farlo”. 

Il fascismo degli antifascisti?

Le persone che hanno partecipato alla protesta sono state accusate da Roccella e da Giubilei di aver mostrato “il fascismo degli antifascisti”. Quindi dei cittadini che, in uno stato democratico, usano i propri corpi e la propria voce per contestare pacificamente una ministra e le scelte politiche che porta avanti il governo italiano in tema di diritti civili e lotta alla crisi climatica, sarebbero un metodo fascista” dichiara un’altra attivista di Extinction Rebellion.

La motivazione, nel ragionamento che poi Giubilei ha esposto a mezzo stampa, è che siano stati fatti dei cori quando la ministra ha iniziato a parlare e che non sia stato accettato il dialogo da parte di chi stava contestando. “Questa ricostruzione è paradossale: la ministra ha preso parola subito dopo i primi cori e tutta la platea la stava ascoltando, visto che evidentemente era l’unica ad avere il microfono. Ha ripetuto che i medici obiettori non siano un problema per l’accesso all’aborto” – anche questo smentito dai dati [Il Fatto] e dall’esperienza della platea che l’ha fischiata – “e ha cercato di spostare il discorso sull’utero in affitto. Di quale dialogo stiamo parlando esattamente? Roccella ha nei fatti negato la disponibilità al dialogo che ha poi vantato in ogni intervista”.

I video diffusi dai movimenti contengono, inoltre, diverse sequenze delle intemperanze verbali degli esponenti di Fratelli d’Italia, sul palco insieme a Roccella. Il giubilo rabbioso di Montaruli – anche lei esponente con una passato nell’estrema destra italiana – che urla  “Faremo il rullo di tamburi quando Lagioia se ne andrà veramente dal Salone” [La Repubblica]. Il minaccioso “sali sul palco, facciamo la presentazione insieme” che Maurizio Marrone (assessore al Welfare della Regione Piemonte ed ex leader del Fuan, associazione studentesca di estrema destra), ha rivolto a Marco Giusta, del Coordinamento Pride torinese, colpevole di avere liberamente espresso la propria opinione in difesa delle attiviste presenti e la cui presentazione era saltata proprio perché la ministra Roccella e l’assessore Marrone si sono rifiutati di lasciare il palco oltre l’orario previsto [Torino Pride], occupando – nei fatti – il palco del padiglione per tre ore. Fino alle urla di “cafone e plebeo” da parte dell’avvocata Annamaria Bernardini o di “fascisti, fascisti” dell’opinionista Francesco Giubilei, consigliere del Ministro Sangiuliano. Una violenza verbale poco consona a chi in quel momento rappresentava le istituzioni, come ha sottolineato Nicola Lagioia “Non tirerei in ballo il fascismo con tutta questa facilità, è più grave che lo dica un ministro e non che lo dicano i ragazzi. Il fascismo è un’altra cosa, c’è quando il potere interviene in maniera violenta” [La Repubblica, 22/05/23]. 

Esiste infatti un’asimmetria tra chi governa e i semplici cittadini. Un’asimmetria di potere e opportunità di esporre il proprio pensiero: chi governa ha evidentemente tantissimo spazio mediatico, ha il potere legislativo, ha spazi di parola in moltissimi eventi rilevanti in tutta l’Italia. “Sostenere che la ministra sia stata silenziata – come hanno detto Giorgia Meloni, Matteo Renzi e come hanno ripetuto ormai la quasi totalità degli esponenti del governo -, significa non comprendere questa differenza” commentano da Extinction Rebellion. “Affermare che è stata rifiutata un’offerta al dialogo, in quel contesto, è privo di significato. Non si trattava di una mediazione, salire sul palco a dialogare non modifica le posizioni di un ministro. Si tratta di pacifico dissenso, cosi come garantito dalla nostra costituzione”.

La scelta di non andare in televisione

In questo clima di tensione e conflitto, che smentisce le dichiarazioni di Roccella di apertura al dialogo, i tre movimenti hanno anche ritenuto di declinare gli inviti a intervenire alle trasmissioni “Diritto e Rovescio”, “Tagadà” e “Mattino 5” in studio con gli stessi Giubilei e Bernardini. Una nota inviata alle redazioni, argomenta le ragioni di questa decisione [Nota di replica], una decisione non riportata durante la trasmissione Mattino 5, ad esempio, in cui si è parlato genericamente di un ritiro da parte dei movimenti, senza mai però citarne il contenuto. “Se lo avessero fatto, avrebbero permesso a chi stava guardando di capire. Hanno scelto invece di non riportarlo, confermando come il dibattito televisivo sia ridotto a puro spettacolo, rissa e polarizzazione della discussione. Siamo disponibili a partecipare a trasmissioni che si concentrino sui contenuti e diano spazio all’argomentazione ragionata e non urlata, che offrano la possibilità di organizzarsi con tempi compatibili con la vita di persone che lavorano e studiano. Non siamo invece disponibili ad essere ulteriormente strumentalizzate e schiacciate da chi fa l’opinionista di professione” dichiara Martina di Extinction Rebellion.

Il 6 maggio eravamo ad Ancona per una manifestazione nazionale sull’aborto passata completamente sotto silenzio, in una Regione dove non è praticamente più possibile abortire [Non Una di Meno]. Auspichiamo che l’attenzione pubblica sui temi della protesta continui e non derivi solo dall’incapacità di una ministra di accettare una contestazione” aggiunge Mara, di Non Una di Meno Torino.

I molti commenti che hanno sottolineato il sacrosanto diritto a protestare, ma in maniera educata e composta, che non dia troppo fastidio, insomma, appaiono quindi vuota retorica. L’asimmetria di potere mediatico e di libertà di parola tra una ministra e chi la contesta viene svelato dai fatti di questi ultimi giorni, che contraddicono ricostruzioni parziali e capziose di quanto accaduto. 

“Se si andrà davvero a processo per violenza privata, ci andremo tutte insieme, compresi ministri, assessori e forze dell’ordine. Se la nostra è violenza privata, le loro politiche sono violenza pubblica” concludono le attiviste.

Extinction Rebellion, Non Una di Meno, Fridays For Future

Pubblicato da maoist 

IL GOVERNO MELONI OCCUPA “MILITARMENTE” L’INTERA STRUTTURA DELL’INFORMAZONE DELLA RAI

Un articolo redazionale di mercoledì ventiquattro maggio del quotidiano l’Opinione delle Libertà, vicino alla Destra Liberale Italiana, rivela quali sono state le nomine proposte dall’amministratore delegato, Roberto Sergio, al consiglio di amministrazione della Rai per il rimpasto voluto dal Presidente del Consiglio dei Ministri che pretende di occupare tutta l’informazione radiotelevisva pubblica.

Si tratta di nomi che fanno venire la pelle d’oca, e che dovrebbero essere respinti al mittente per evitare che si possa finire in breve tempo a praticare il passo del simpatico animaletto da cortile: d’altronde, è evidente che la marcia verso il moderno fascismo sta accelerando, ed il capo del Governo ha fretta di creare una situazione dove il pensiero critico è, nei fatti, completamente messo all’angolo.

Cominciamo da Gian Marco Chiocci, attuale direttore dell’agenzia di stampa AdnKronos, indicato come nuovo responsabile del telegiornale dell’ammiraglia del servizio pubblico: costui è stato direttore del quotidiano romano – notoriamente di area fascista – “Il Tempo”, ma soprattutto si è trovato indagato, per il reato di favoreggiamento, nell’inchiesta Mafia Capitale.

Si prosegue con Antonio Ciro Patrizio Preziosi, già direttore di Rai Parlamento dal 2018 che passa al vertice del TG2, il quale – scrive Wikipedia sulla sua pagina personale – «è consultore del PontificioConsiglio delle Comunicazioni Sociali dal 29 dicembre 2011, nominato da Papa Benedetto XVI. Dal 2012 è consigliere d’amministrazione del Centro Televisivo Vaticano». Insomma, un adepto della parte più oscurantista della chiesa cristiana cattolica apostolica romana, come dimostra il fatto di essere stato nominato nella posizione sopra segnalata dal “signor” Jozeph Ratzinger, degno continuatore dell’opera di regressione culturale intrapresa dalle gerarchie ecclesiastiche con la nomina al soglio pontificio di Karol Wojtila, in arte Giovanni Paolo II.

Della stessa area politica del personaggio appena analizzato è l’ex senatore – nominato nelle file dell’Unone di Centro – Francesco Pionati che, indicato dalla Lega per Salvini Premier, va al Giornale Radio: anch’egli un papista del peggior stampo, con l’aggravante di essere stato vice direttore del TG1, quindi pagato con i soldi di tutti gli italiani per spacciare le sue immonde idee, fino a quando fu eletto alla carica pubblica.

Infine – detto che al TG3 viene confermato l’ex direttore generale dell’emittente televisiva pubblica, Mario Orfeo – tocca parlare di Giuseppe Carboni, già direttore del TG1 dal 2018 al 2021, indicato alla poltrona di responsabile di Rai Parlamento: per sapere chi sia costui, invitiamo a leggere il pezzo di presentazione apparso sul sito della “AdnKronos” il 31 ottobre 2012. Ci domandiamo il motivo della scelta di un personaggio del genere, e ci rispondiamo che si tratta di un grillino di destra, come dimostra la sua precedente nomina sopra menzionata; va ricordato, infatti, che all’epoca il Governo era formato dal Movimeto 5 Stelle e dalla Lega per Salvini Premier: quindi le nomine dell’esecutivo dovevano essere approvate anche da Capitan Mojito.

Per concludere, la nuova direttrice dell’offerta informativa è Monica Maggioni di cui non deve ingannare la, vera o presunta, appartenenza al Partito Democratico: che tipo sia è ben descritto da un articolo, firmato da tale Tommaso Croco, presente sull’edizione del 09 dicembre 2021 del giornale – di proprietà del Movimento s.r.l. il cui padrone è Gianluca Luciano, esponente di Italexit – Il Paragone.

Bosio (Al), 27 maggio 2023

Stefano Ghio – Proletari Comunisti Alessandria/Genova 

Pubblicato da fannyhill

Basta esercitazioni militari. Manifestazione il 2 giugno a Cagliari

Giovedì 26 maggio terminerà l’esercitazione Joint Star, che è ora in corso nel poligono di Teulada, con la partecipazione di migliaia di soldati, prevalentemente delle forze armate italiane.

Ancora una volta la terra e il mare della Sardegna sono stati bersagliati con colpi di artiglieria, missili e razzi.

Ma siamo stati bombardati anche dalla propaganda dell’esercito italiano.

Un piccolo esercito di propagandisti stipendiati dal Ministero della Difesa sono da anni impegnati amigliorare l’immagine dell’Esercito Italiano fra la popolazione sarda.

In questi mesi hanno dato il meglio di sè, inventando profitti stellari per lavanderie e negozi, esercitazioni a fuoco “green” con esplosioni vere dentro una zona SIC, fino ad arrivare agli alberi piantati per compensare l’anidride carbonica prodotta.

Negli ultimi giorni i testimonial di questa campagna sono stati il generale Figliuolo e la sottosegretaria Rauti, pubblicizzando le mirabolanti capacità militari dell’esercito italiano e la presunta concordia della Sardegna, tutta contenta di venire bombardata.

Nonostante la grande rabbia davanti a tutto questo, A Foras ha ritenuto che non fosse utile organizzare manifestazioni davanti ai poligoni durante le esercitazioni del mese di maggio.

Abbiamo deciso invece di chiamare la popolazione a scendere in piazza il 2 giugno a Cagliari, per dimostrare tutti insieme il nostro dissenso.

Sarà un’altra occasione per ribadire che non lasceremo mai in pace chi continua a portare la guerra nella nostra terra.

Pubblicato da maoist

Sulle elezioni in Turchia – dal giornale mlm turco Özgür Gelecek – per il dibattito

Dimenticare il 18 maggio ’73!” Il potere del popolo sta nella sua organizzazione!

Il seguente articolo è l’editoriale dell’ultimo numero del quotidiano Özgür Gelecek, che propaganda la linea MLM in Turchia. L’articolo, che analizza i risultati delle elezioni in Turchia, non è una “traduzione ufficiale”.

Occorre guardare alle masse popolari non come elettori, tenere presente che il popolo è soggetto, che si fa potere se e solo quando si organizza per i propri interessi di classe.
24 Maggio 2023

Il 14 maggio si sono tenute le elezioni presidenziali e parlamentari. Mentre alle elezioni parlamentari Alleanza Popolare ha ottenuto la maggioranza, alle presidenziali è statocomunicato che Erdoğan ha riscosso il 49,52%, Kemal Kılıçdaroğlu il 44,88%; Sinan Oğan il 5,17%. Secondo le comunicazioni ufficiali dell’YSK, tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu c’è un distacco di 2,5 milioni di voti.

Pertanto, è stato comunicato che le elezioni presidenziali sono rimandate al ballottaggio, che si terrà il 28 maggio. Ora, nell’arena politica borghese si tengono frenetici contatti e contrattazioni. È un dato di fatto riferito da tutta la stampa che, sulla base dei voti conquistati, in vista del secondo turno il fascista razzista rivendica apertamente carica e posizioni. È chiaro che questa contrattazione non ha nulla a che fare con gli interessi del popolo, si mercanteggia per il secondo turno e il processo a venire.

Dato che i risultati comunicati del primo turno delle elezioni presidenziali di mostrano che nessuna delle fazioni borghesi è riuscite a prevalere nettamente sull’altra e che in Turchia la crisi del capitalismo persiste.

Contrariamente a quanto affermato prima delle elezioni dall’opposizione borghese, durante la votazione non ci sono state gravi tensioni. Tuttavia, la scoperta di brogli a favore dei partiti al potere è del tutto naturale nel normale svolgimento delle elezioni in Turchia.

È naturale perché le elezioni in Turchia non si sono mai svolte in condizioni paritarie nemmeno nel senso borghese del termine. Le elezioni nella nostra terra hanno avuto tutta una serie di esperienze di “democrazia compiuta”: dalle “elezioni coi manganelli” al “voto palese, conteggio segreto”!

Nelle ultime elezioni, le classi dirigenti turche, quelle al potere e all’opposizione, hanno proseguito questa tradizione storica. Il governo ha utilizzato tutti i mezzi dell’apparato statale, prima e durante le votazioni, mentre l’opposizione è andata al voto propagandando le elezioni del 14 maggio come ben più importanti di una normale tornata elettorale. In questa situazione, a fronte dei risultati elettorali, nell’opposizione borghese c’è per lo più delusione.

Il fatto che per l’opposizione borghese le elezioni non si siano andate come miravano ha causato demoralizzazione tra i settori di classi dominanti rappresentati da questa cricca e per i circoli da essa sostenuti.

Le elezioni del 14 maggio hanno visto un’affluenza elevata. Secondo le cifre annunciate da YSK, la partecipazione alle elezioni è stata dell’87,04%. Se è possibile spiegare l’alto tasso di partecipazione alle elezioni col rapporto che nelle condizioni della Turchia c’è tra il popolo e le urne elettorali, di per sé ciò sarebbe un’analisi incompleta.

Se, data l’alta affluenza alle elezioni del 14 maggio, si può affermare che una serie di spinte antecedenti il 14 maggio, dalla campagna “chiudiamola al primo turno” alla propaganda sulle “elezioni più importanti della storia della Repubblica”, in particolare da parte l’opposizione borghese, abbiano avuto effetto nel portare il popolo alle urne, va notato che nella nostra terra anche che la minima richiesta di diritti e democrazia per le masse popolari trova risposta nella violenza fascista e che le elezioni sono proposte e propagandate come l’unico modo per il popolo di partecipare alla politica, anche se solo in apparenza.

In questo modo le classi dominanti reprimono le rivendicazioni di diritti e democrazia del popolo e la sua “lotta politica” nella vita quotidiana, e ne incoraggiano la partecipazione alla politica solo attraverso le elezioni, anche se solo in apparenza. Con la “festa della democrazia” che si tiene ogni cinque anni, attraverso strumenti come le elezioni e il parlamento, la dittatura fascista riesce a nascondere il suo vero carattere di classe. Questo è quello che è successo nelle elezioni del 14 maggio. Da questo punto di vista va valutata l’intensa partecipazione popolare alle elezioni.

Sulle elezioni del 14 maggio si possono dire molte cose. Nelle elezioni parlamentari del primo turno, è stato annunciato che, nonostante la perdita di voti, Alleanza Popolare, per effetto del sistema elettorale, si è assicurata la maggioranza dei seggi parlamentari. Rispetto al precedente parlamento si registra una certa diminuzione del numero dei deputati governativi.

Ci sono commenti che, ignorando la natura dei precedenti parlamenti, per la presenza in parlamento di certi partiti che formano Alleanza Popolare, in particolare l’hezbollahista Hüdapar o lo Yeniden Refah, parlano di “parlamento più reazionario della storia della Repubblica”, occorre una spiegazione.

I parlamenti precedenti non erano democratici. Non va dimenticato che si tratta del parlamento dove non molto tempo fa i deputati curdi sono stati incvarcerati e dove inoltre è stata revocata l’immunità dei co-presidenti dell’HDP, causandone l’arresto.

La frustrazione dell’opposizione borghese

La prima cosa che si può dire sulle elezioni del 14 maggio è che, come al solito, attraverso il voto le classi dominanti propagandano la loro “democrazia”. Maggioranza e opposizione ripetono i loro discorsi già noti. In particolare, è evidente che il secondo turno delle elezioni presidenziali serve a nascondere il carattere fascista del governo.

Di solito, il fatto che quelli che “sono già saliti a cavallo e attraversato Üsküdar” non obiettino alle piccole differenze emerse nelle elezioni presidenziali e non facciano leva su di esse significa che pensano a lungo termine, non sul momento.

In effetti, il secondo turno delle elezioni presidenziali viene utilizzato per mascherare il carattere fascista del regime. A questo scopo servono, infatti, le dichiarazioni di portavoce del regime, a partire dallo stesso Erdoğan: “come si dire dittatore di una persona che arriva al secondo turno?”.

È chiaro secondo turno delle elezioni presidenziali è stato mantenuto come deliberata tattica politica e che, guadagnando un margine più ampio al secondo turno, il governo punta a ottenere un sostegno di massa per le sue politiche fasciste.

D’altra parte, va detto che per i fascisti kemalisti del CHP, che rappresentano il corpo principale dell’opposizione borghese, le elezioni sono state un’assoluta delusione. Il clima da “vittoria sicura” che era stato diffuso prima delle elezioni è ricaduto pesantemente. Anche se gli altri partiti che formano l’Alleanza Popolare guidata dal CHP presentano come un loro successo per loro l’aver portato in parlamento più deputati di quanto espresso dal loro sostegno di massa, è evidente che la propaganda agitata prima delle elezioni “Erdoğan perderà nel primo turno”, è stata smentita.

Nella situazione in cui la crisi economica del sistema imperialista capitalista è aggravata dalla politica economica attuata dalle classi dominanti turche attraverso la cricca al potere, naturalmente privilegiando i propri interessi di cricca e di classe e causando ulteriore aumento della povertà delle grandi masse popolari, ulteriore diminuzione del potere d’acquisto del popolo a causa dell’alta inflazione, e infine per gli effetti delle distruzioni causate dal terremoto che ha colpito milioni di persone, ecc., l’opposizione borghese auspicava e propagandava una grande vittoria elettorale.

Tuttavia, i calcoli all’interno dell’opposizione borghese non hanno fatto i conti col mercato. Anche se nei risultati elettorali ufficiali non c’è stata una grossa differenza tra governo e opposizione e le elezioni presidenziali sono andate al ballottaggio, l’opposizione borghese sembra essere depressa dal clima che essa stessa aveva creato. All’indomani delle elezioni echeggiano una serie di discorsi e “analisi” ritrite, dal “questo popolo è incorreggibile” al “manca una classe media” e al “predominio del sottoproletariato”.

Nella situazione in cui l’opposizione borghese non offre alcuna soluzione significativa alle condizioni di lavoro e di vita della classe operaia e delle masse popolari rispetto alla cricca al potere della stessa classe dominante, possiamo facilmente affermare che le masse che sostengono il governo e la cricca di classe al potere si comportano in modo estremamente pragmatico. Parte considerevole delle masse che sostengono il governo ha agito nella preoccupazione che la loro situazione potesse ancora peggiorare.

Questo ha a che fare col fatto che, pur con una perdita di voti delle forze di governo, l’opposizione borghese non è vista dalle masse come un’alternativa. Ciononostante, pur avendo ottenuto il secondo turno delle elezioni presidenziali, l’opposizione borghese continua a ripetere lo stesso errore e continua a competere con il governo AKP-MHP quanto a razzismo e nazionalismo. È chiaro che questi discorsi non restituiranno all’opposizione borghese alcun vantaggio e che sul mercato della politica borghese il surrogato non sarà preferito finché esiste l’originale.

Ciò che veramente conta qui è il sentimento di sconfitta creato nelle file di alcuni circoli che si spacciano come di sinistra o perfino come rivoluzionari che con la pretesa di “sconfiggere il fascismo” si sono schierati alla coda dell’opposizione borghese dentro classi dominanti .

La situazione vissuta da questi circoli, che vedono nelle urne e nelle elezioni l’unica via della lotta al fascismo, che mostrano alle masse come unica via di uscita il parlamentarismo, è direttamente proporzionale al significato che essi attribuiscono alle elezioni e al parlamento.

Tuttavia, i risultati elettorali, specie delle elezioni presidenziali, non erano imprevedibili, soprattutto per i partiti e delle organizzazioni progressiste presenti nelle file del popolo. Infatti, avevamo sottolineato, già a un mese dalle elezioni, che “le elezioni del 14 maggio sono importanti, ma non sono tutto!” e messo in guardia sul pericolo che in paesi come la Turchia produce questa falsa coscienza di vittoria che si crea per le elezioni. (ÖG, 12 aprile 2023). In condizioni come quelle della Turchia, dove le elezioni non si svolgono in condizioni di parità, nemmeno nel senso borghese del termine, non è corretto pensare che il fascismo sarà sconfitto e distrutto grazie alle elezioni, là dove si intensificano ogni tipo di oppressione e terrore fascista contro le masse e, per di più, si utilizzano, anche nella lotta di potere tra le cricche borghesi, manipolazioni, minacce e ricatti di ogni tipo. Non essendo corretto, è un grave errore politico fare questa propaganda tra le masse e difenderl come la via della salvezza.

Che la politica di non appoggiare il candidato di nessuna delle cricche borghese alle elezioni presidenziali fosse quella corretta è ancora più chiaro con il ballottaggio. È evidente, dalle dichiarazioni rese a nome del candidato dell’opposizione borghese al secondo turno, che la linea di sostenere il candidato della cricca di opposizione delle classi dominanti, i particolare in nome della sconfitta del fascismo, non servirà che alla restaurazione dello stesso ordine.

L’opposizione borghese propaganda il ballottaggio elettorale come “difesa della patria” e “salvataggio dello Stato”. Ma né la patria né lo stato appartengono alla classe operaia o al popolo. Ciò che la borghesia chiama patria non è altro che un apparato di oppressione e dominio del proprio mercato e di sfruttamento degli operai e lavoratori, e ciò che la borghesia chiama Stato non è altro che un apparato di oppressione per mantenere questo ordine di sfruttamento. Per vincere le elezioni al secondo turno, l’opposizione borghese si è stretta intorno a discorsi razzisti e fascisti e dichiarazioni contro i rifugiati. È chiaro che questi discorsi alimentano razzismo e sciovinismo tra le masse e legittimano l’ostilità verso i rifugiati.

Per di più, questi discorsi non hanno alcuna possibilità di vincere contro la cricca fascista al potere.

Non preparatevi a nuovi giorni di lotta!

Nelle elezioni del 14 maggio è stato evidente che la politica di quei partiti e organizzazioni nel campo del popolo che non si sono attestate su posizioni di autonomia e hanno sostenuto il candidato dell’opposizione borghese nella lotta di potere tra le cricche della classe dominante era un errore tattico. Un errore tattico non imprevedibile. È un dato di fatto che la decisione di “non presentare un candidato presa dalla EÖİ e soprattutto dall’HDP non è politicamente corretta, se considerata dal punto di vista di un partito che lotta nella politica dominante e ‘punta al potere’. La decisione di non indicare un candidato significa anche mancanza di propositività in termini di politica pur dentro l’ordine esistente” (ÖG, 29 marzo) e, allo stesso modo, che “non è la politica corretta che la Alleanza Lavoro e Libertà, formata da forze rivoluzionarie e patriottiche nel campo del popolo, non nominandlo un candidato nel processo elettorale, indichino implicitamente il candidato dell’opposizione borghese, K. Kılıçdaroğlu…” (ÖG, 12 aprile).

Nonostante questo errore tattico, non è corretto valutare la perdita di voti della Sinistra Verde come una “pesante sconfitta”. Il fatto che il Partito della Sinistra Verde sia entrato alle elezioni al posto dell’HDP, sotto minaccia di messa al bando, con forti pressioni fasciste sul partito, arresti, retate, contrasti sulle liste all’interno dell’alleanza. Partecipazione alle elezioni con un lista separata, ecc. valgono a spiegare la perdita dei voti.

Occorre guardare alle masse popolari non come elettori, tenere presente che il popolo è soggetto, che si fa potere se e solo quando si organizza sui propri interessi di classe. Le elezioni sono solo e soltanto una parte di questa lotta, ma mai quella determinante. Ogni illusione che dimentica questa realtà sarà frustrata dai risultati elettorali delle classi dominanti. È noto che con le elezioni non ci sarà mai alcun cambiamento fondamentale e che “l’ordine non si cambia”.

La via perché la coscienza prenda vita è organizzare una lotta rivoluzionaria unitaria, usando ogni forma e mezzo di lotta.

Nel pieno del processo elettorale e, allo stesso tempo, nel 50° anniversario dell’assassinio del leader comunista İbrahim Kaypakkaya, il compagno İbrahim è stato commemorato in molti luoghi. È stato un passo importante per noi, nonostante il peso del processo elettorale interno all’agenda elettorale, riportare l’attualità del compagno Kaypakkaya con un lavoro più diffuso, dinamico ed efficace rispetto agli anni precedenti.

Ovviamente, anche in un clima di elezioni e pessimismo, Kaypakkaya indica la vera via di salvezza. Nel 50° anniversario della sua immortalità, ancora una volta, questo giovane dirigente comunista ci mostra la via che dobbiamo percorre e continua a insegnarci che fare: “Ricordare, ricordare il 18 maggio ’73!”

Pubblicato da maoist 

Al “cambio di passo” della borghesia, rispondiamo con l’elevamento della lotta proletaria – Editoriale

Il “cambio di passo” è una esigenza che è richiesta dalla realta’, dal “cambio di passo” della borghesia, col governo fascista Meloni, con la partecipazione, sia pure indiretta, alla guerra.

Il “cambio di passo” deve essere della lotta di classe tra proletari e Stato, governo. Questo non c’è ancora. Ma sta ai comunisti mlm, a noi, preparare le condizioni e prepararci.

In alcuni compagni e compagne, in alcune realta’ rivoluzionarie, di lotta, del sindacalismo di base e di classe difetta ancora la comprensione di questa necessita’ oggettiva e soggettiva, che pone un’urgenza, perchè come si vede il governo, l’imperialismo italiano ogni giorno ne fa una per rendere concreto il moderno fascismo, in termini di interventi politici, di campagne ideologiche, di “occupazione” di ogni della cultura, della scuola, della Rai, ecc. perchè, come ha detto la Meloni, ora loro hanno il “potere”.

I comunisti, i rivoluzionari, le realta’ sociali e sindacali di classe non possono agire come prima, perquanto riguarda il rapporto sindacale/politico, il peso della battaglia politica nel sindacale, i tempi, modalita’ e determinazione che la situazione richiede. 

Nel necessario lavoro quotidiano, di organizzazione delle lotte sui problemi delle condizioni di lavoro, di vita dei lavoratori, delle masse, in cui i comunisti si pongono al servizio dei proletari e si occupano del “grano e del sale”, si occupano della lotta e organizzazione sindacale, aiutano (come dice Lenin) i lavoratori a farla, come primo livello di unita’, presa di coscienza della lotta di classe, di antagonismo con i padroni, il governo e il loro sistema, la situazione attuale della collina della borghesia è una opportunita’ per chiarire tra i lavoratori, le masse proletarie che la lotta rivendicativa non basta, che occorre elevare la lotta a lotta politica contro il governo, lo Stato, il sistema capitalista, per rovesciare con la rivoluzione proletaria il potere sempre più barbaro, marcio, reazionario della borghesia che schiaccia e distrugge le vite dei proletari, per il potere nelle mani degli operai e delle masse popolari, per una nuova societa’, socialista, che metta al centro gli interessi dei proletari e non l’interesse dei profitti di un “pugno” di padroni e ricchi. 

Tra le masse, i giovani, tra gli operai, sia pure ancora in forme minoritarie e disunite, cresce l’indignazione, la denuncia, e anche un’iniziale volonta’ di fare; noi dobbiamo essere la “scintilla”, perchè questa volonta’ diventi il fuoco di una lotta ampia, forte, irriducibile. 

Noi siamo comunisti e dobbiamo guardare e aiutare tutte le lotte, dobbiamo dare la “parola giusta al momento giusto”, dobbiamo fare la lotta contro il riformismo e le altre deviazioni presenti nelle direzioni di queste lotte quotidiane ma anche tra i lavoratori che le conducono. Ma l’azione dei comunisti nella lotta sindacale deve essere in funzione dell’avanzamento dello scontro di classe generale, della guerra di classe, in funzione del potere. 

E la prima questione è che i proletari, le masse vedano in noi comunisti i primi  eintransigenti “odiatori” della borghesia.

proletari comunisti/Pcm Italia

26 maggio 2023

Pubblicato da fannyhill 

Assemblea nazionale a Pisa: Fermare l’escalation – Nessuna base per nessuna guerra

Il 4 giugno dalle ore 10.00 il Movimento No Base – Né a Coltano né altrove promuove un’assemblea nazionale, insieme ad altre realtà, che si svolgerà dalle ore 10.00 al Bastione Sangallo a Pisa

È passato un anno dalla manifestazione indetta a Coltano contro la costruzione di una nuova base militare dell’esercito italiano per i corpi speciali, in particolare il 1º reggimento dei carabinieri paracadutisti “Tuscania” e il reparto d’élite dei carabinieri “G.I.S.” (Gruppo Intervento Speciale). 
La forte risposta che nel nostro territorio siamo riuscitə a costruire ci ha permesso di rallentare il progetto: ad oggi, nonostante un DPCM mai ritirato che decreta la costruzione della base a Coltano, non una pietra è stata posata
Si è parlato di spacchettamenti e ricollocazione della base, ma l’interesse è sempre quello di costruire un enorme hub logistico per la guerra che vedrebbe questa infrastruttura inserirsi strategicamente tra Camp Darby, l’aeroporto militare di Pisa e il porto di Livorno. 
Questa parziale vittoria non ci basta.

Per questo ci rivolgiamo a voi. Ci rivolgiamo a voi per parlare anche a noi stessə. Non sarà possibile vincere la lotta contro la costruzione di nuove basi militari se non si ferma l’escalation globale verso la guerra. Un’escalation reale con conseguenze rovinose nei territori e nelle vite delle persone: la produzione bellica cresce insieme ai trasporti via treno, nave e gomma di armi, alle gite studentesche dentro le caserme, alle presenza del comparto militare nelle scuole. Mentre si chiudono ospedali, servizi sanitari territoriali e scuole, si delocalizza la produzione e polverizzano posti di lavoro, si tolgono le già risicate forme di sussistenza sociale, subiamo un drammatico rincaro energetico, aumento dell’inflazione e del carovita. 
In quest’anno l’avvitamento della guerra è aumentato coinvolgendo sempre più luoghi: in Ucraina, in Medio Oriente, in Africa, nel Mediterraneo e in tanti altri luoghi in cui la guerra è più o meno esplicita. Oggi nel mondo sono in corso decine di conflitti armati: guerre in cui le grandi potenze economiche si scontrano “per procura” e conflitti “a bassa intensità”. 
Questo avvitamento lo vediamo in diversi luoghi: Afghanistan, Yemen, Siria, Palestina, Iraq, Sahel, Congo, Nigeria, ma anche Etiopia, Myanmar, Colombia, Messico e molti altri. 
Anche sul territorio europeo l’escalation continua: in Ucraina e nelle diverse zone di “confine” aumentano gli investimenti in munizioni, i sistemi di controllo e confino dei flussi migratori, l’uso di droni e lo sviluppo di tecnologie militari. 
Il controllo e l’investimento sulle fonti energetiche rappresenta uno dei modi attraverso cui si ridisegnano le sfere di influenza mondiali, di cui le guerre sono naturale conseguenza. Nello scenario bellico globale, la corsa forsennata a nuove fonti fossili accelera la crisi climatica e approfondisce le disuguaglianze sociali, anche se mascherata dalla narrazione delle transizione ecologica, che si sta oggi consumando sulla pelle dellə lavoratorə e sui territori.

L’avvitamento della guerra ha degli effetti devastanti e mortiferi, produce danni, trasfigura territori, relazioni, luoghi della formazione, spazi di democrazia, sia nei territori coinvolti che “ospitano” basi militari sia in quelli che apparentemente sembrano “in pace” ma che subiscono le conseguenze legate alla scelta di dirottare gli investimenti pubblici sulle spese militari e su nuovi investimenti in energie fossili anziché sugli ospedali, le scuole, l’emergenza abitativa. 
Tutti questi effetti ricadono con particolare violenza sui corpi delle donne e delle soggettività non conformi, sulle persone sfruttate, povere e precarie, sulle persone piccole e la natura.

Con questo invito ci rivolgiamo a chi subisce questi danni a Pisa e in Toscana, a chi come a Piombino, Ravenna e tante parti d’Italia vede il territorio e la propria salute sacrificati in virtù dell’approvvigionamento energetico, a chi lotta per una transizione ecologica dal basso, giusta e radicale, a chi sta soffrendo per le basi, l’occupazione militare e il conseguente abbandono dei territori.Ci rivolgiamo a chi, nell’ultimo anno e mezzo, ha attraversato le tante manifestazioni per la pace e contro l’invio delle armi e a chi ha si è mobilitato contro il transito delle armi nei porti. Ci rivolgiamo a chi dalle guerre fugge e viene bloccatə sui confini o costrettə a lavorare e vivere in condizioni violente e inumane di sfruttamento, privatə di ogni diritto fondamentale.
Ci rivolgiamo alle giovani generazioni che hanno fatto della battaglia per il “diritto al futuro” la testimonianza della loro stessa esistenza.

Lo Stato italiano ha già speso un miliardo per le armi inviate in Ucraina e le spese militari aumentano costantemente (passando da 25,7 miliardi a 26,5 miliardi solo tra il 2022 e il 2023). Ogni euro speso per il riarmo è un euro sottratto ai servizi essenziali e al benessere complessivo della società. Queste guerre sono pagate dai popoli ma fanno solo gli interessi dei potenti. Sono il frutto della concentrazione della ricchezza in mani di pochi e premessa perché questa continui a crescere. 
In quest’ultimo anno tante sono state le manifestazioni contro la guerra e l’invio di armi: cortei, conferenze, fiaccolate, blocchi delle navi e aerei che trasportavano armi. 
Tutte queste lotte possono fermare un pezzetto di escalation, ma da solə nessunə riuscirà a vincere e rompere il muro di propaganda e manipolazione che i governi e i media stanno costruendo. Il nazionalismo, militarismo e sessismo pervadono sempre più in profondità la cultura, l’economia ed ogni ambito sociale. 

Come agire per contrastarli, soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado? A quanto ammontano realmente le spese militari del nostro paese? Quanto sono aumentate negli ultimi anni? Dove e a chi vanno questi soldi, per produrre cosa? Quanti militari sono coinvolti in territori bellici, e quali? Come possiamo conoscere, rintracciare e bloccare la filiera della guerra? A queste domande in pochə sanno rispondere… perché nessuno ci fornisce risposte. 

Il silenzio e il segreto intorno alle risorse pubbliche coinvolte in guerre, esercitazioni e traffico di armi non sono conseguenze, ma condizioni necessarie alle guerre. Romperli sarebbe un primo passo per emergere dalla manipolazione dei media e dei governi. Provare a tirare fuori la testa dalla palude putrida in cui ci stanno sommergendo, riprenderci la speranza e la volontà di cambiare radicalmente la società in cui viviamo.

Respirare, guardare il sole, guardarci tra noi e costruire la forza e l’orizzonte per fermare questa escalation.

GKN, Rete No Fossile, No Tav, No Ponte, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole, No Muos, Climate Social Camp, Pax Christi, Movimento Migranti e Rifugiati Napoli, Ex opg occupato – je so’ pazzo Napoli, Collettivo Dada Boom La Spezia, S.I. Cobas Toscana, Lucca No guerra no base, Bologna for climate justice, Valdera Avvelenata  (in aggiornamento!)

Pubblicato da maoist 

Alluvione: nuova corrispondenza da Ravenna

L’alluvione a Ravenna ha riguardato essenzialmente la frazione di Fornace Zarattini, che è zona residenziale e in cui sono presenti concessionarie e complessi industriali e commerciali, con anche capannoni dismessi e degradati. Nonostante la presenza massiccia in questi giorni di Vigili del fuoco, protezione civile, volontari, solo oggi è stata pompata tutta l’acqua.

Un’area che il Comune di Ravenna aveva destinato ad “ambito commerciale produttivo” già con il Piano Strutturale Comunale (PSC) e che la giunta del sindaco de Pascale del PD, che oggi si straccia le vesti per le conseguenze dell’alluvione, nel 2019 aveva dato il via libera al Piano Urbanistico Attuativo  perl’ennesimo mega-impianto commerciale valutato per le esigenze di vendita della ex Bricoman, oggi Tecnomat, specializzata in edilizia, utensileria, elettricità, idraulica: l’ennesimo stravolgimento del territorio, l’ennesima cementificazione, lungo la via Faentina che porta a Ravenna, che ha portato alla distruzione di un’area verde di 9 mila mq.

L’altra zona pesantemente colpita dall’alluvione è stata la zona industriale delle Bassette. La principale via di collegamento, la Romea nord, adesso è libera. Nell’area industriale Marcegaglia aveva fermato le linee per un giorno. Il polochimico non si è mai fermato.

Dove ci sono state pesanti colate di cemento per costruire enormi capannoni commerciali si sono verificati i danni maggiori dell’alluvione, non a caso.

A Fornace Zarattini fino a mercoledì scorso nelle strade laterali c’era ancora l’acqua e, ribadiamo, è anche una zona residenziale. Ieri pomeriggio le pompe hanno portato via l’acqua che era rimasta nelle vie, nelle case e nelle cantine. Le tonnellate di macerie sono state caricate e portate via, alcune ancora visibili per strada e, di queste macerie, anche l’arredamento delle case, mobili, elettrodomestici. Ma quello che è rimasto è il forte odore di acqua stagnante. Adesso si dovrà verificare l’agibilità delle case.

Per il resto Ravenna non ha subito danni. Oltre alle zone descritte sopra, sono i comuni intorno, è la campagna ad essere stata pesantemente colpita.

Oltre la zona industriale di Bagnacavallo allagata per la seconda volta, i più colpiti dall’alluvione sono comuni di Sant’Agata e Conselice e molti altri centri minori della Bassa Romagna.

In molti hanno perduto tutto e con le allerte meteo di questo fine settimana l’emergenza non è ancora finita.

San’Agata è rimasta sott’acqua per circa 2 metri e adesso che l’acqua è stata pompata e si è ritirata, è tutta ricoperta di fango.

Un impegno importante lo stanno dando i volontari e, tra di essi, le Brigate di Solidarietà Attive, a Fornace, nei comuni di Ravenna e a Imola e Faenza (qui è presente anche un hub di Emergency), per rimanere in ambito ravennate (ma sono attive anche a Forlì-Cesena), così come Potere al popolo, il Si Cobas (a Faenza) e altre realtà politiche e sindacali. Lo Slai Cobas psc si unisce a loro per dare il contributo solidale.

A Conselice c’è esasperazione e rabbia rivolta all’inadeguatezza della sindaca che ha anche impedito l’uso delle idrovore da parte dei privati: “Dopo dieci giorni abbiamo ancora l’acqua alta. Chieste spiegazioni al sindaco senza ottenere risposta”. 

Con l’acqua stagnante ci sono rischi per la salute (infezioni gastrointestinali e tetano) e ci sono i primi ricoveri.

Le foto di Sant’Agata e di Conselice sono state fatte da un compagno che ci ha permesso di usarle

Ma rimane la situazione grave nei paesi in collina, con le frane, strade distrutte, mancanza di elettricità e di acqua potabile.

Queste foto sono dal piccolo Comune di Villanova alle porte di Ravenna che ci ha inviato un operaio:

Domani, Sabato 27 maggio, ore 16, parteciperemo all’assemblea popolare in piazza Maggiore a Bologna per costruire una mobilitazione popolare regionale a un mese dall’alluvione, il 17 giugno, che arrivi sotto la Regione.

Anche nell’area dei compagni attivi nella solidarietà e ai compagni e lavoratori di Cesena abbiamo fatto circolare Ore 12 – “speciale alluvione” pubblicato dal blog

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora