Il governo Meloni sferra un altro attacco ai diritti dei lavoratori: contratti a termine senza limiti e senza causali

Dopo l’introduzione dei voucher con la legge di bilancio, nei prossimi giorni il governo Meloni si appresta a fare altri favori ai padroni liberandoli dai “vincoli” che erano posti ai contratti a termine, vincoli spesso imposti anche da sentenze di tribunale e perfino dalla Corte costituzionale che “è già intervenuta sul Jobs Act di Renzi, per invitare il Parlamento a legiferare in modo più favorevole ai lavoratori per quanto riguarda i risarcimenti nei casi di licenziamenti senza giusta causa.” come riporta il Manifesto del 25 scorso.

È chiaro che i “risarcimenti” sono stati introdotti per attutire i colpi dei licenziamenti, ma non hanno risarcito e non possono risarcire un operaio o una operaia che perde il lavoro!

Le nuove norme sui contratti a termine dovrebbero essere varate “entro l’inizio di febbraio: via il limite di 12 mesi per i contratti a tempo senza causali, l’ipotesi è tornare a 36 mesi, come ai tempi del governo Renzi e del ministro Poletti. Con la possibilità di ulteriori 12 mesi da affidare ai contratti collettivi. Si allargheranno anche le causali per i rinnovi, che oggi sono legati sostanzialmente alla sostituzione di lavoratori e incrementi temporanei dell’attività.”

Alle normali obiezioni che con queste norme si aggrava la precarietà già estesa, visto che in Italia ci sono ufficialmente oltre 3 milioni di lavoratrici e lavoratori in queste condizioni, si affretta a rispondere la ministra del lavoro (della precarietà e della disoccupazione) Elvira Calderone che bacchetta, per giunta! “«Basta considerare la flessibilità solo in chiave negativa, il contratto a termine non è di per sé una forma di precarizzazione»” e di che, se no? qui la ministra dimostra anche perdita di capacità logica! Ma in realtà, la logica è giusta, è quella del capitalismo-imperialismo.

“… sembra di tornare alle narrazioni dei tempi della Leopolda. – dice il quotidiano – Senza tenere conto del fatto che, nel 2021 (secondo i dati del rapporto Inapp), solo il 14,8% dei nuovi contratti di lavoro era a tempo indeterminato, mentre il 69,8% era a termine. Numeri che hanno spinto gli stessi autori del rapporto definire il mercato del lavoro italiano «intrappolato nella precarietà».”

Segue un piccolo elenco di dichiarazioni dei sindacati confederali, di fatto al servizio del Capitale, che si lamentano e invitano il governo a ripensarci, a discutere, discutere…

È invece, necessario passare ai fatti!

Lavoratrici e lavoratori, a “tempo indeterminato” o precari, si devono organizzare, a fronte di questi continui attacchi, e unire le lotte contro padroni e i loro governi.

Anche la lotta contro la precarietà sarà argomento dell’Assemblea Proletaria Anticapitalista che si terrà a Roma il 18 febbraio prossimo dalle 10,30 alle 18,30 presso lo Spazio Occupato Metropoliz, di Via Prenestina  913

Pubblicato da prolcompal 

Continua il nostro centrale lavoro nelle grandi fabbriche. Mirafiori: le voci degli operai e le nostre indicazioni e proposte/Assemblea proletaria anticapitalista a Roma 18 febbraio/ Assemblea delle operaie a Torino nella settimana dell’8 marzo

Iniziativa a Mirafiori alla portineria, con affissione cartelloni con le nostre indicazioni e bandiere dello Slai Cobas a fianco. Si sono diffusi volantini, distribuiti anche per un contatto diretto e uno scambio con le operaie e gli operai che entrano ed escono dalla portineria per il primo e secondo turno.

Appreso che quel giorno al lavoro c’erano anche gli operai del turno centrale della Maserati, siamo tornati alle 16.00 per l’uscita. Ciò ha permesso di parlare anche con gli operai di questo reparto sulla situazione generale e sul contratto aziendale dove manca informazione e prospettiva.

Nel corso della mattinata si era diffusa la notizia che a maggio chiudono gli incentivi per la Lear (sedili) per mandar via e che ci saranno operai in mezzo alla strada, e c’era malumore.

I cartelloni, visti e letti in diversi casi in modo evidente, sono diventati occasione per iniziare a parlare “non è più vita, guerra e carovita, il contratto unico per tutto il gruppo”; le bandiere hanno attirato l’attenzione, è stata infatti, come qualcuno diceva “la giornata dei cobas”.

Questo è stato chiaro fin dal primo operaio che quando ci ha visto preparare i cartelloni, un pò sorpreso, si ha detto “non pensavo ce ne fossero ancora di queste iniziative, non hanno più possibilità queste iniziative a Mirafiori”; abbiamo spiegato che il nostro intervento c’è proprio perchè non abbiamo alternative.

Altri, vedendo le bandiere hanno detto: “anch’io ero dei cobas… c’erano anche i cobas al tempo degli scioperi per la panda (2002 circa) ma poi con i contratti di solidarietà non li hanno più fatti entrare…”; “c’erano anche i cobas quando c’erano i cortei, i cobas adesso sono la’ a schiattare quelli rimasti, c’è gente eliminata, messi fuori…”.

Diversi altri operai hanno parlato di questa presenza passata in vario modo “anch’io ero dei cobas, avete ragione, adesso leggo con attenzione… Arrabbiati e rassegnati non va bene, bisogna essere combattivi… no non mi arrendo”.

Molto evidenti i guardiani, che come al solito osservano il movimento degli operai attorno a noi, e davanti alla portineria i lavoratori erano più sfuggenti, e un paio di operaie lo hanno detto esplicitamente.

In generale gli operai avevano voglia di parlare, e alcuni sono stati nettamente critici verso i sindacati confederali, i delegati “che se ne stanno la’ seduti a non fare niente” rispetto a quello che succede in fabbrica; “noi abbiamo già detto ai sindacati dentro i nostri problemi, ma più di tanto non possono fare.

Di fronte alla ristrutturazione del gruppo, al carovita, alla guerra, al governo Meloni, la proposta dell’assemblea operaia è quella necessaria per unire, organizzare, dare prospettiva agli operai che nelle fabbriche vogliono opporsi. Per questo abbiamo portato nei cartelli e nel volantino l’indicazione della nuova Assemblea proletaria anticapitalista che si terra’ a Roma il 18 gennaio.

Operaie raccontano di una situazione in fabbrica molto seria, è d’accordo che senza la lotta degli operai non ci possono essere risultati, ma che c’è paura, individualismo, si pensa che ‘non c’è più niente da fare’; “Il problema di fondo, sai, è la paura, non si fa più lo sciopero. Se qua dentro facciamo gli scioperi, ne paghi le conseguenze. Vieni messa a fare i lavori peggiori, a parte che di belli qua dentro non c’è né, però bisogna ribellarsi tutti quanti assieme… fuori da qua abbiamo una vita, una casa”.

Altri operai e operaie confermano: “Si’ sempre di più, lavoro da 30 anni, arrivo da Grugliasco che hanno chiuso, mi sono rovinata la schiena in linea, non tengono in considerazione le problematiche, ma a fine mese devi pagare l’affitto…”; “dopo 30 anni di lavoro non hai nemmeno la sanità che ti cura. Se non hai i soldi fai in tempo a morire…”; “non mandano noi in pensione e dentro i giovani, ho 30 anni di lavoro ma non ho mai lavorato come adesso, sulla linea di montaggio”, “…non è che siamo poi così giovani da poter stare sulle linee di montaggio; io guido il carrello, scarico camion dalla mattina alla sera, a 56 anni penso di aver già dato”; “Troppo lavoro, troppo carichi di lavoro, prima 10 pezzi, ora 15. Ma ci sono tanti operai a casa! Se dividessero il lavoro sarebbe meglio, tutto il carico a noi, moriremo prima”; “Ritmi più alti si’, ma anche carichi mirati per obbligarti adaccettare le dimissioni”; “io lavoro tre giorni la settimana, ma non ce la faccio più. Io vedo che altri in altre fabbriche stanno peggio di noi, ritmi di lavoro, alla Amazon, Pirkinton… Arrivati ad una certa età bisogna rallentare. Dobbiamo uscire da qui. “Sinistra” e destra ci hanno ridotto in questo stato…”.

A loro diciamo: Dobbiamo mettere tutte le nostre energie per costruire un’alternativa, non siamo qui a dire agli operai fate, ma a lavorare assieme per costruire la via d’uscita.

Parliamo di preparare un’assemblea per unire le operaie che non ci stanno a questa vita, ma la dobbiamo costruire assieme. Le operaie non c’è la fanno più per come si lavora in fabbrica, ma lamentarsi o protestare una per una non va, lavoriamo assieme per una assemblea delle operaie nella settimana dell’8 marzo.

Altre operaie rafforzano la denuncia delle condizioni in fabbrica e di come si viene trattate: “É uno schifo, ho la bambina di 7 anni non mi danno neanche i giorni, mi fanno le proposte: se mi vieni un sabato o due io ti vengo incontro. Loro vogliono che io vada per 18 sabati obbligatori, fino a settembre… Incontro? Io ho la bambina di 7 anni e devo lavorare, io un giorno vengo qua e la bambina la lascio al gabbiotto e entro a lavorare! E’ giusto?”

Rispondiamo: “Come ti trattano no, fai bene a ribellarti, ma è giusto che la protesta tu la faccia da sola? E le altre operaie? Perché non lo fate assieme, e la tua bambina diventa la nostra lotta? Ci sono le possibilità se le cerchiamo… dobbiamo ribaltare questa situazione, perché anche ad ubbidire non ti salvi lo stesso, ritmi e carichi mirati, è una fabbrica che ti schiaccia”. Lei riflette sulla dimensione collettiva della protesta “Si è vero, si può fare, e per l’assemblea parlo con le colleghe in reparto”.

Altre voci sulla lotta: “Io sono arrivata da Rivalta, ho fatto uno sciopero, erano li tutti che piangevano, sono uscita da sola… si andava fuori a fare i cortei ma non è cambiato nulla”; “Nessuno è più disposto a fare sciopero, o se ne fai uno poi non vanno più avanti, le bollette sono aumentate, le persone qui dentro non sono disposte a perdere dei soldi. Io ne ho viste di lotte ma non è cambiato nulla. Grugliasco, Rivalta, Maserati… hanno chiuso”; “ma le pensioni, sanità le hanno portate gli operai con la lotta…”.

Non basta fare solo l’elenco delle disgrazie, prima quando gli operai avevano nelle loro mani la lotta, il movimento operaio riempiva questi viali, dobbiamo riprovarci. La forza degli operai è quando si organizzano per i propri interessi. Per questo dobbiamo costruire una assemblea autonoma.

Pubblicato da fannyhill 

Buona assemblea a Genova per la mobilitazione contro la guerra inter imperialista

Una grande partecipazione all’assemblea di Genova è stata la risposta all’appello del CALP (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) per una giornata di lotta nazionale contro la guerra.

Pubblichiamo, per ora, l’intervento dell’operaio della Dalmine (BG) dello Slai cobas sc e del compagno di Taranto di proletari comunisti 

Pubblicato da fannyhill 

La Meloni in Libia consegna i migranti ai torturatori della guardia costiera in cambio di affari per il gas

Meloni sigla con Descalzi, Eni, un’intesa definita “storica” sulla pelle dei migranti: Cinque navi (finanziate dall’Ue) alla guardia costiera libica per il “controllo” dei profughi in fuga da violenze e fame, in cambio di uno storico accordo sul gas da 8 miliardi di dollari.

«Abbiamo parlato di come potenziare gli strumenti per combattere i flussi illegali. È un tema che non riguarda solo Italia e Libia, deve riguardare l’Unione europea nel suo complesso», ripete Meloni. Poi tocca a Tajani: «Ho firmato un memorandum d’intesa tra il governo italiano e quello libico per la consegna di cinque vedette finanziate dalla Ue. Rafforziamo la cooperazione con la Libia, anche per contrastare i flussi d’immigrazione irregolare».

Il rafforzamento della famigerata Guardia costiera libica, denunciata dai migranti per le violenze, gli arresti, portera’ a impedire con la forza che i migranti possano scappare dall’orrore o per riportarli nei lager delle torture, stupri delle donne. 

I migranti, uomini, donne, bambini vengono sacrificati, consegnati al “boia” per, nella classica politica imperialista, avere in cambio affari.

Meloni ha ricordato come «l’Eni è presente qui dal 1959, ha di fatto contribuito a una parte importante della storia libica di questi anni, dello sviluppo economico della Libia…”. Dimostrando come l’Italia imperialista è stata complice degli orrori perpetrati in Libia dall’imperialismo americano e oggi della politica di lager, torture dell’attuale regime verso i migranti, per i profitti del capitalismo italiano.

E Meloni spiega la politica neo coloniale del suo governo, che prende risorse energetiche e lascia briciole nei paesi del nord Africa: «l’Italia vuole giocare un ruolo importante, anche nella capacità di aiutare i Paesi africani a crescere e a diventare più ricchi. Una cooperazione che non vuole essere predatoria, che vuole lasciare qualcosa nelle nazioni». 

Pubblicato da fannyhill

“Pezzi di Capitale” un teatro in cui gli operai sono protagonisti e gli intellettuali si mettono a disposizione della loro lotta di classe

Il 26 gennaio, alla Casa del popolo di Grassina, centinaia di persone sono andate a vedere la rappresentazione teatrale, dal collettivo di fabbrica della GKN a tanti giovani, a compagni a conferma di questa attrazione solidale.

Pezzi di Capitale è teatro operaio in cui sono gli operai i protagonisti che portano su di un palco la loro esperienza, la loro lotta a difesa del loro posto di lavoro, il loro lavoro, la loro vita, la trasformazione che avviene quando si mette in gioco la propria stessa vita partecipando direttamente ad una lotta…”finchè non arriva quel momento non sai di che pasta sei fatto”, dice Dario all’inizio della rappresentazione.

Pezzi di Capitale è il racconto diretto degli operai GKN della loro lotta innescata dai licenziamenti collettivi partiti il 9 luglio del 2019 – perchè i padroni puntano a maggiori profitti con le delocalizzazioni – ma gli operai resistono, non vogliono cedere ai padroni, spontaneamente arrivano in centinaia davanti al cancello chiuso e lo forzano, lo riescono ad aprire con la forza collettiva.

Pezzi di Capitale è la lotta che dirada le nebbie che avvolgono i rapporti sociali e di produzione sotto il Capitale che trova al mercato, compra e usa la forza-lavoro operaia per ricavarne un valore, “lavoro morto che domina e succhia la forza lavoro viva” (Marx). Un modo di organizzare la produzione che gli operai vogliono “mettere in discussione dalle fondamenta”.

Pezzi di Capitale è la lotta operaia che attrae la solidarietà di tanti componenti della società.

Pezzi di Capitale è l’intellettuale piccolo-borghese che si mette a disposizione della causa operaia, fa inchiesta, la rappresenta secondo i suoi strumenti e, per farla, va a vivere dentro la fabbrica, partecipa direttamente al presidio. E comincia ad odiare sempre più la sua classe di appartenenza e si trasforma anch’esso, e assume il punto di vista della Rivoluzione.

Pezzi di Capitale sono i frammenti dell’imponente e rivoluzionario lavoro di Marx che l’intellettuale porta nella rappresentazione, che potrebbe essere un palco di un teatro all’interno di una Casa del popolo, uno spazio occupato, una fabbrica in lotta.

Ma…verso questi operai “che non hanno letto Il Capitale di Marx” non bisogna lasciarli a questo stadio, l’intellettuale, per essere effettivamente al loro servizio, deve spiegare agli operai le leggi del Capitale, che Il Capitale non è il singolo padrone come viene descritto nella rappresentazione, che Marx non si limita alla lotta di classe ma è la coscienza della necessità del suo rovesciamento rivoluzionario che spinge in avanti la lotta, che indica la via d’uscita alla stanchezza, alle sconfitte, agli errori. Ti sa dire dove andare. “Insorgiamo” deve essere innanzi tutto l’appello a tutti gli operai, organizzarli, farli tornare ad essere una classe e una classe che “deve dirigere tutto”. Altrimenti che senso ha citare Marx quando definisce gli operai come i “becchini del Capitale”?

Il sottotitolo di Pezzi di Capitale è “Un libro che ancora non abbiamo letto”:
“Il problema è che non lo abbiamo letto
Se lo abbiamo letto, non lo abbiamo capito
Se lo abbiamo capito non sappiamo che fare
Se sappiamo che fare, poi, non riusciamo a farlo
Il problema è che non abbiamo il tempo
Il problema è che non sappiamo dove andare”

L’operaio Dario alla fine dice: “L’unica sconfitta sarebbe uscire da questa lotta con un’analisi sbagliata.”

Gli operai d’avanguardia, come si vede, chiedono più che “pezzi di Capitale” l’intera opera teorica di Marx, una Formazione Operaia marxista per orientarsi e dirigere. Siamo d’accordo con Dario, quando alla fine dice: “Scegliamoci dei buoni compagni di vita e di lotta, e proviamoci a non vivere invano e a non morire soli.”. Con Marx diamo senso all’appello di questa lotta operaia che è “insorgiamo”: quello dell’obiettivo del potere operaio.

Un ringraziamento alla compagnia che ha realizzato lo spettacolo.

Pubblicato da fannyhill 

Solidarieta’ al centro sociale ASKATASUNA

Torino: perquisizione poliziesca al centro sociale Askatasuna

Ieri, a Torino, il centro sociale Askatasuna ha subito una perquisizione da parte delle forze dell’ordine. Durante le operazioni sono stati sequestrati tutti gli impianti audio presenti all’interno dello spazio sociale, oltre a diversi faretti e altri oggetti.

Sebbene non ancora formalmente confermato, la perquisizione sembra l’ennesima prova di forza che la procura di Torino mette in atto nei confronti di Askatasuna e della lotta NoTav.

La motivazione di questi sequestri risale infatti al concerto che Askatasuna organizzò il 15 ottobre 2022 per celebrare i 26 anni di vita e raccogliere adesioni per la campagna associazione a resistere. Un concerto che la questura aveva provato a vietare, senza riuscirci.

Ora, a distanza di tre mesi, dopo la consegna di decine di multe per un totale tra i 125mila e i 250mila euro, arriva un nuovo attacco.

Pubblicato da maoist 

Riprendiamo lo Speciale Brasile con i contributi di valutazione e indicazioni dei compagni brasiliani dal giornale A Nova Democracia

EDITORIALE SETTIMANALE – LA TESTA DEL SERPENTE GOLPISTA

Secondo un giornalista della CNN, con informazioni trapelate dietro le quinte, l’Alto Comando dell’Esercito ha discusso, durante le riunioni di novembre, se prendere o meno l’iniziativa per un “intervento militare” prima dell’insediamento di Luiz Inácio. Sempre secondo il monopolio della stampa, a maggioranza, i generali reazionari hanno concluso che non era il momento di portare a termine il colpo di stato. L’informazione dà conto anche del fatto che uno degli uomini che principalmente hanno gestito la propaganda golpista sarebbe Walter Braga Netto, generale a quattro stelle della riserva e candidato a vicepresidente sulla lavagna di Bolsonaro, il debole. Ovviamente, il generale ha negato, ma non ha convinto.

Il mezzo statunitense in Brasile sottolinea anche che nella Marina c’era maggiore sostegno per la rottura istituzionale, allora capeggiata dall’ammiraglio Garnier Santos – lo stesso che, arrabbiato, non partecipò nemmeno alla cerimonia in cui avrebbe passato il comando. La giornalista Marcela Matos, della rivista Veja, riferisce anche che ci sono commenti dietro le quinte del nuovo governo su un’articolazione che coinvolgeva i marines, che sarebbero stati mobilitati per iniziare una rivolta come scintilla del movimento golpista. L’iniziativa è stata interrotta, in quanto non ci sarebbe stata unità nell’Alto Comando delle Forze Armate (ACFA). Fu per questo motivo che il generale Braga Netto consigliò agli accampati che chiedevano un colpo di stato militare a Brasilia di aspettare e “non perdere la fede”?

Secondo la CNN, per questo motivo, a novembre, le foto di cinque ufficiali generali delle Forze Armate sono state diffuse dall’estrema destra con la frase: “generali-anguria che hanno impedito l’intervento militare” (angurie, cioè “verdi fuori, rosse all’interno”).

Il giornalista ultra-reazionario William Waack riferisce anche che, secondo fonti dell’ACFA, i generali hanno, fondamentalmente, due opinioni sulle elezioni: una parte, francamente minoritaria, ritiene che ci siano stati brogli elettorali, e la stragrande maggioranza ritiene – letteralmente – che “le elezioni sono state strane”, cioè che ci sarebbe stata un’interferenza della Corte Suprema nel processo elettorale e prima di esso a favore di Lula.

Nell’essere tutto vero – e nulla indica che sia tutta una menzogna – si tratta di un messaggio forte: le Forze Armate reazionarie sono, infatti, convinte che potrebbero dover portare a termine un colpo di stato militare, e la divergenza sta nella definizione del momento e della situazione. Del resto, la logica dice che se l’ACFA avesse considerato un principio di non intervento, non ne avrebbe discusso come possibilità (per non parlare della difesa esplicita, sempre fatta in caserma, anche pubblicamente, che le Forze Armate avrebbero un mandato per intervenire).

Il fatto è che la maggioranza dell’ACFA – destra egemonica – non vuole sbagliare sui tempi, perché un frettoloso colpo di stato militare può sollevare un mare di masse in risposta e minare il suo piano controrivoluzionario, quello di essere riconosciuto dalle Forze Armate come un potere moderatore, una condizione per combattere meglio le masse rivoluzionarie che inevitabilmente si solleveranno. Ma così come sa che non può sbagliare il tempismo, è anche convinta che, meglio prima che poi, dovrà lanciarsi a portare al termine il colpo di Stato. Questo perché le Forze Armate reazionarie sono, in Brasile, non solo la spina dorsale del vecchio Stato che sostiene, ma sono anche guardiani di questo Stato e dei suoi governi di turno e, pretendono, dell’intera nazione.

Le tanto propagandate rimozioni e dimissioni del personale militare, in particolare dell’ex comandante dell’esercito, Giulio Cesare Arruda, per insubordinazione dato che si è rifiutato di rispettare l’ordine del presidente della repubblica, e la sostituzione con il nuovo comandante Tomás Miguel Ribeiro Paiva vengono utilizzate, ancora una volta, per ingannare l’opinione pubblica sul paese che vive nella normalità. Al contrario, il Brasile sta affrontando la più grande crisi militare degli ultimi 35 anni.

Pertanto, è totale stupidità credere che la nomina di questo o quel generale, nella pelle di agnello, alla posizione di comandante possa trasformare la natura stessa delle forze – il cui ACFA, addirittura, è formato sullo stesso manuale e corsi definiti dal regime militare, corsi che il governo dell’opportunismo, in più di 14 anni di amministrazione, non ha mai avuto il coraggio da cambiare, e nemmeno lo farà ora. Questo movimento golpista, che ormai tutti vedono, è stato concepito nell’ACFA come risposta preventiva alla probabile rivolta popolare rivoluzionaria di fronte alla putrefazione politica, come parte della decomposizione della base economica alla quale è arrivato il sistema di sfruttamento e oppressione attualmente vigente, e che le ribellioni del 2013/14 prefiguravano si sarebbero avverate. Questo movimento golpista è nato nel 2015 con la crociata anti-corruzione, inizialmente incoraggiato da Rede Globo con la sua ode a Lava Jato, e ora dà i suoi primi respiri di età adulta. Non c’è rimedio per questo: si deve seppellire.

Tutti i democratici e i rivoluzionari devono aver chiaro che è necessario combinare la denuncia con la mobilitazione delle masse, educarle nello spirito di garantire le loro libertà democratiche come la pupilla dei propri occhi, perché sono le migliori condizioni per la difesa dei loro interessi più sentiti. Questo è possibile solo sollevandosi in difesa dei propri interessi fondamentali, strappando alla reazione miglioramenti nelle proprie condizioni di vita attraverso l’occupazione della terra nelle campagne, scioperi e cortei nelle città, in breve, nella lotta di classe: lì impareranno a smascherare golpisti di alto profilo, che mangiano allo stesso tavolo di sfruttatori e saccheggiatori del popolo e della nazione mentre ruttano patriottismo a buon mercato per la piccola borghesia ipnotizzata. Inoltre, e soprattutto: è necessario istruire le masse, specialmente gli operai, i contadini, i giovani e i piccoli proprietari che possono avere tutto ciò che vogliono oggi e molto di più con il potere politico nelle loro mani, strappando la forza ai loro aguzzini, nella lotta prolungata e piena di peripezie, per la Rivoluzione democratica, agraria e antimperialista.

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 EDITORIAL SEMANAL – A CABEÇA DA SERPENTE GOLPISTA

Almirante Garnier Santos, ex-comandante da Marinha. Foto: Pedro Ladeira/Folhapress

Segundo jornalista da CNN, com informações vazadas de bastidores, o Alto Comando do Exército discutiu, durante reuniões em novembro, se tomaria ou não a iniciativa por uma “intervenção militar” antes da posse de Luiz Inácio. Ainda segundo o monopólio de imprensa, por maioria, os generais reacionários concluíram que não era o momento de culminar o golpe. A informação dá conta ainda que um dos principais articuladores da propaganda golpista seria Walter Braga Netto, general de quatro estrelas da reserva e candidato a vice-presidente na chapa de Bolsonaro, o Fraco. Obviamente, o general negou, mas não convenceu.

O veículo norte-americano no Brasil ainda destaca que na Marinha foi onde houve maior apoio à ruptura institucional, então chefiada pelo almirante Garnier Santos – o mesmo que, irado, sequer participou da cerimônia na qual passaria o comando. A jornalista Marcela Matos, da revista Veja,informa ainda que corre comentários nos bastidores do novo governo sobre uma articulação que envolveu fuzileiros navais, que estariam mobilizados para iniciar um motim como chispa do movimento golpista. A iniciativa foi abortada, pois não teria havido unidade no Alto Comando das Forças Armadas (ACFA). Teria sido por essa razão que o general Braga Netto aconselhou acampados que pediam golpe militar em Brasília a esperar e “não perder a fé”?

Segundo a CNN, por essa razão, em novembro, fotos de cinco oficiais-generais das Forças Armadas foram divulgadas pela extrema-direita com a sentença: “generais melancias que impediram intervenção militar” (melancias, quer dizer, “verde por fora, vermelho por dentro”).

O jornalista ultrarreacionário William Waack também informa que, segundo fontes no ACFA, os generais têm, fundamentalmente, duas opiniões sobre as eleições: uma parte, francamente minoritária, considera que houve fraude eleitoral, e a imensa maioria considera – em palavras literais – que “as eleições foram estranhas”, isto é, que teria havido ingerência do STF no processo eleitoral e antes dele em favorecimento de Lula.

Em sendo tudo verdade – e nada indica que seja de tudo mentira – trata-se de uma forte mensagem: as Forças Armadas reacionárias estão, de fato, convictas de que poderão ter que culminar um golpe militar, sendo a divergência a definição quanto ao momento e situação. Afinal, a lógica diz que se o ACFA considerasse um princípio a não-intervenção, não a teria discutido como possibilidade (sem mencionar a defesa explícita, desde sempre feita na caserna, inclusive publicamente, de que as Forças Armadas supostamente têm mandato para intervir).

Fato é que a maioria do ACFA – direita hegemônica – não quer errar o timing, porque um golpe militar precipitado pode levantar um mar de massas em resposta e prejudicar seu plano contrarrevolucionário de ser reconhecidas as Forças Armadas como Poder Moderador, condição para melhor combater as massas revolucionárias que se sublevarão inevitavelmente. Mas, assim como sabe que não pode errar o timing, igualmente está convicta de que, mais cedo do que tarde, terá que se lançar no culminar do golpe de Estado. Isto porque as Forças Armadas reacionárias são, no Brasil, não somente medula do velho Estado o qual sustenta, são também tutoras deste Estado e de seus governos de turno e, pretendem-se, de toda a Nação.

As tão propaladas remoções e demissões de militares, em especial do ex-comandante do Exército, Júlio César Arruda, por insubordinação ao recusar-se cumprir ordem do presidente da república, e a substituição pelo novo comandante Tomás Miguel Ribeiro Paiva estão sendo usadas, uma vez mais, para enganar a opinião pública de que o País vive normalidade. Longe disso, o Brasil está diante da maior crise militar dos últimos 35 anos.

Sendo assim, é estupidez completa crer que a nomeação deste ou daquele general com pele de cordeiro para o cargo de comandante possa transformar a natureza mesma das forças – cujo ACFA, inclusive, é formado na mesma cartilha e cursos definidos pelo regime militar, cursos que o governo do oportunismo, em mais de 14 anos de gerência, nunca teve peito para mudar, e tampouco o fará agora. Esse movimento golpista, que agora todos veem, foi concebido no ACFA como resposta preventiva ao provável levantamento popular revolucionário ante a putrefação política, como parte da decomposição da base econômica a que chegou o sistema de exploração e opressão secularmente vigente, e que as rebeliões de 2013/14 prenunciavam de ocorrer. Ele veio à luz em 2015 com a cruzada anticorrupção, a princípio incentivado pela Rede Globo com sua ode à Lava Jato, e agora já dá seus primeiros suspiros de vida adulta. Não há remédio que dê jeito: é preciso enterrá-lo.

Todos os democratas e revolucionários devem ter em claro que é preciso combinar a denúncia com a mobilização de massas, educá-las no espírito de assegurar suas liberdades democráticas como a menina dos olhos, porque são as melhores condições para a defesa dos seus interesses mais sentidos. Isso só é possível através de levantá-las em defesa dos seus interesses básicos, por arrancar da reação melhorias em suas condições de vida através das tomadas de terras no campo, greves e marchas nas cidades, enfim, na luta de classes: ali aprenderão a desmascarar golpistas de alto coturno, que comem na mesma mesa dos exploradores e saqueadores do povo e da Nação enquanto arrotam patriotismo barato para a pequena burguesia hipnotizada. Ademais, e principalmente: é preciso instruir as massas, especialmente os operários, camponeses, juventude e pequenos proprietários de que poderão ter tudo o que querem hoje e muito mais com o Poder político nas mãos, arrancado à força de seus algozes, na luta prolongada e cheia de peripécias, pela Revolução Democrática, Agrária e Anti-imperialista.

Pubblicato da maoist 

La battaglia per Alfredo Cospito: fuori dal 41 bis ORA!

Su soccorsorossoproletario.blogspot.com – le iniziative in corso

Intervento di una compagna di proletari comunisti

Per i detenuti politici rivoluzionari il 41bis viene applicato con una funzione di vendetta verso coloro che non si pentono, che rivendicano la loro militanza rivoluzionaria (come appunto Alfredo Cospito), e con una funzione deterrente anche verso l’esterno.

Lo Stato borghese, i governi vogliono imporre dentro e fuori la loro “pace sociale” ancora di più oggi nella fase di crisi, partecipazione alla guerra inter imperialista, e ancora di più oggi da parte di un governo Meloni moderno fascista che punta a stravolgere anche i diritti costituzionali, che fa stare nel proprio seno (parlamento, Camera, Senato, governo) personaggi dichiaratamente fascisti, in aperto contrasto con le stesse leggi antifasciste, antirazziste; e che ora con le nuove prossime norme del Min. della giustizia vuole continuare a coprire i politici corrotti, i fascisti, la criminalita’ “legale”. 

La stessa cattura di Messina Denaro viene usata per rafforzare e dare nuova legittimazione al regime del 41bis e dell’ergastolo ostativo, mettendo sempre sullo stesso piano (vedi le dichiarazioni di Nordio sulle intercettazioni), mafia e terrorismo, intendendo chiaramente per “terrorismo” le organizzazioni, le lotte dei rivoluzionari, dei comunisti, per rovesciare con tutte le armi necessarie questo sistema capitalista, il suo Stato, ai suoi governi.

La repressione che questo Stato sta portando da tempo avanti ed avanza sempre di più per colpire le lotte e le loro avanguardie che fuoriescano dai limiti imposti dalla legislazione borghese, trova la sua punta di iceberg verso i prigionieri politici; cioè verso chi, in varie maniere, con cui si può essere d’accordo o meno (noi non siamo d’accordo con gli anarchici con la loro visione strategica, la loro politica e spesso anche la loro pratica), pone di fatto la verita’, necessita’ della lotta armata contro uno Stato che attacca i diritti della maggioranza delle masse, dei proletari, da quelli più elementari e quotidiani, il diritto al lavoro, al salario, alla sanita’, alla scuola, a quelli più generali, uno Stato che oggi ci trascina nella guerra. 

Ma da un lato questo Stato con la repressione si mostra forte, dall’altro, proprio per questo, mostra di avere paura anche del solo fatto che si alluda ad un cambiamento radicale di questa società.

In questo contesto va visto l’accanimento dello Stato contro Alfredo Cospito. Che, non dimentichiamo, ha gia’ scontato la condanna per aver ferito a Genova il dirigente dell’Ansaldo Roberto Adinolfi, e ora viene accusato di aver posto dei pacchi bomba davanti alla scuola allievi dei carabinieri di Fossano che non hanno causato né morti né feriti. Ma questo viene considerato “strage di Stato” e per questo lo si vuole segregare a vita. La sua colpa è aggravata dal fatto che continua a lottare con lo sciopero della fame e in questo senso è un’indicazione vivente a non piegarsi. 

Il regime del 41bis, giustamente l’abbiamo definito “tortura bianca”, è un isolamento a 360 gradi, non solo con l’esterno con i propri familiari, ma anche all’interno del carcere con gli altri detenuti. E’ vietato ricevere posta, libri, è vietato anche salutarsi tra detenuti, c’è di fatto il divieto di comunicazione, di parola. 

Questo è uccidere una persona. E giustamente Cospito in una sua lettera ha scritto: “La vita non ha senso in questa tomba per vivi”.

Ma ancora una volta lo Stato, la giustizia borghese oltre che reazionaria, repressiva, è anche “stupida”: ha voluto mettere a tacere un anarchico e ha sollevato una pietra che gli sta comunque ricadendo sui piedi, la vicenda di Alfredo, con il suo indomito sciopero della fame, è diventata di dominio pubblico, ha suscitato vasta solidarieta’ anche da realta’ molto diverse, tante e continue iniziative, manifestazioni. 

Oggi questa mobilitazione va continuata, sviluppata ancora di più, estesa, utilizzando vari mezzi e forme, investendo da ogni realta’ di lotta ai democratici sinceri, e portandola sempre di più tra le masse popolari, i lavoratori spiegando perchè questa repressione riguarda tutti coloro che si ribellano, che lottano contro lo stato esistente, e che la repressione dello Stato borghese ai rivoluzionari è parte centrale della guerra di classe tra proletari, masse popolari e padroni, Stato, governi al servizio di questo sistema di sfruttamento, di mancanza di lavoro, di guerra, di miseria, di attacco ai diritti civili e alla stessa democrazia.

Tutte le solidarieta’ sono importanti, ma noi in questa battaglia vogliamo soprattutto la solidarieta’ che rispetti quello che ha scritto lo stesso Alfredo Cospito“fino alla fine contro il 41bis e l’ergastolo ostativo”: “mi opporró con tutte le forze all’alimentazione forzata. Saranno costretti a legarmi nel letto… Alla loro spietatezza ed accanimento opporró la mia forza, tenacia e la volontá di un anarchico e rivoluzionario cosciente…”. 

La nostra parola d’ordine è, quindi, “Fuori Alfredo Cospito dal 41 bis, no all’ergastolo ostativo; salvare la vita e la sua identità politica”.

Questo è oggi ciò che va conseguito in tutti i modi possibili. 
Dobbiamo vincerla questa battaglia di Alfredo, con Alfredo. 
Se vinciamo avremo fatto un passo in avanti per la lotta contro questo Stato borghese assassino.

Pubblicato da fannyhill 

Uscito il nuovo foglio di gennaio di proletari comunisti

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Questo foglio è concentrato sulla lotta contro la guerra inter imperialista e contro il governo italiano, Meloni, che cerca sempre più di svolgere un ruolo di prima fila al servizio degli Usa/Nato, per armi e affari. Invitiamo a richiederlo e a diffonderlo soprattutto nelle iniziative contro la guerra e alle fabbriche.

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