L’imperialismo Usa aumenta enormemente i suoi profitti vendendo gas e petrolio agli imperialisti in Europa grazie alle sanzioni alla Russia

Profitti. Immensi profitti. È questo uno dei vantaggi che gli Stati Uniti traggono da questa guerra interimperialista per procura che si svolge in Ucraina: accumulazione di immensi profitti sia per l’apparato militare industriale che per quello petrolifero.

Per quanto riguarda gas e petrolio lo scenario, dice un articolo del Sole 24 Ore dell’8 marzo scorso, è questo: “L’export di greggio Usa a ritmi record: oltre 5 milioni di barili al giorno. E metà del Gnl [Gas naturale liquefatto] usato nel Vecchio Continente arriva da oltreoceano”, insomma con la guerra inUcraina e le sanzioni che impediscono di commerciare con la Russia, gli Stati Uniti ne hanno preso il posto negli scambi soprattutto con gli stati imperialisti europei, rafforzandosi.

Continua infatti il giornalista al servizio dei padroni: “Washington si è ulteriormente rafforzata nel ruolo di potenza dell’Oil & Gas, non solo incrementando la produzione al punto da superare qualsiasi concorrente al mondo ma soprattutto – ed è forse proprio questo l’aspetto più rilevante dal punto di vista geopolitico – affermandosi come fornitore privilegiato del Vecchio continente”.

E non solo, quindi, il gas ma anche il petrolio “arriva in quantità record, inviato sempre più spesso a bordo di navi giganti che un tempo venivano impiegate solo sulle rotte verso l’Asia, le Vlcc, o Very large crude carriers, capaci di trasportare in un solo viaggio ben 2 milioni di barili di greggio. Negli Usa ci sono pochi porti con acque abbastanza profonde da riuscire a ospitarle quando sono a pieno carico, ma il riempimento viene completato in alto mare, con trasferimenti ship-to-ship effettuati coinvolgendo una serie di navi più piccoleun procedimento lungo, complesso e costoso ma che vale la pena” dice tutto contento il giornalista, “Perché i barili a stelle e strisce in Europa si vendono come il pane da quando è entrato in vigore l’embargo petrolifero contro la Russia.”

L’aumento eccezionale delle vendite ha messo in moto non solo le navi, ma spinge ad accelerare la produzione, “gli USA hanno superato chiunque sul piano della produzione, estraendo l’anno scorso la bellezza di 11mbg, un vantaggio di oltre un milione di barili al giorno rispetto all’Arabia Saudita (che si è fermata a 10,6 mbg) e alla Russia (10,7 mbg).”

L’importanza della produzione materiale si riflette anche su quella finanziaria, e grazie a questo l’imperialismo Usa “acquisterà un’influenza ancora più forte sulla formazione dei prezzi dell’energia a livello internazionale.”

Ma per gli stati imperialisti europei non si tratta certo di un nuovo “piano Marshall”, come deve ammettere lo stesso scribacchino: “Le forniture di gas e petrolio ‘made in Usa’ non sono un generoso aiuto agli alleati più fedeligli europei pagano profumatamente, non fosse altro che per le complicazioni tecniche e logistiche legate alla distanza, che sul Gnl pesano in modo particolare, visto che il combustibile viene prima liquefatto, poi trasportato via mare e infine rigassificatocon impianti che di per sé richiedono grandi investimentiUn procedimento che implica costi superiori a quelli di qualsiasi fornitura che arriva da gasdotti già esistenti (e quindi spesso già ammortizzati).”

Pagare molto di più una merce che invece costava relativamente poco! Qualcosa che dal punto di vista dell’economia borghese è irrazionale! Ma qui siamo davanti alle scelte politiche, dentro questa guerra in Ucraina, che accompagnano lo scontro mondiale economico di fondo. E infatti un “analista” borghese come il vicepresidente di S&P Global aggiunge che “l’export di Gnl negli Usa è ‘diventato parte dell’arsenale della Nato’”. Mentre un altro esperto di geopolitica di BCA Research, dice che il fatto che l’Europa dipenda sempre di più dal Gnl piuttosto che dal gas via tubo “aumenta la dipendenza dal commercio marittimo e dalla sicurezza delle rotte di rifornimento, ambito in cui la Marina militare Usa gioca un ruolo indispensabile nel continente.

L’imperialismo degli Stati Uniti in crisi (crisi profondissima come quella dell’imperialismo in generale) sta prendendo qualche boccata d’ossigeno tattica da questa guerra, ma come si vede siamo davanti a tutta una serie di contraddizioni che si acuiscono sempre di più. Solo per fare un esempio, visto che la produttività nelle aree dello shale gas, cioè dove si usa la tecnologia del fracking, è in declino, per aumentare questa produzione gli Usa devono aprire nuovi siti o riaprire quelli chiusi durante la crisi degli anni scorsi, con aumento di enormi investimenti in dollari da richiedere in prestito alle banche che a loro volta sono nel bel mezzo dell’ennesima crisi, con aumento dei costi in generale e quindi dei prezzi di vendita che impoveriscono ulteriormente proletari e masse popolari, per non parlare dell’incalcolabile distruzione ambientale…

Contraddizioni enormi, contraddizioni insite nel sistema capitalista-imperialista in crisi che si scaricano interamente sui proletari e sulle masse popolari con peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, con atrocità di ogni tipo, con guerre…

Ribellarsi è giusto! Ribellarsi e combattere contro il sistema capitalista-imperialista è urgente e necessario, perché senza la lotta acuta e prolungata di proletari e masse popolari non si riuscirà a spazzare via dalla terra questo mostro moribondo.

Pubblicato da prolcompal 

Libia: prossimo fronte di guerra?

Ripercussioni in Libia della guerra in Ucraina. Venti di guerra nel Mediterraneo

Sono gli stessi che hanno fatto scoppiare la guerra in Ucraina, gli stessi imperialisti (USA/UE-Italia, Francia, Germania e Regno Unito/NATO/ONU/Russia), gli stessi governi reazionari come Turchia e Israele (in Libia agiscono anche l’Egitto, armato dagli USA, e l’Arabia Saudita), che ora creano le condizioni per una prossima guerra civile in Libia, alimentando le tensioni tra le milizie dei signori della guerra, con violenze, minacce, intimidazioni e rapimenti di membri del governo Dabaiba (3 ministri sono stati sequestrati e 7 ministri hanno dato le dimissioni).

Mentre continuano i respingimenti criminali da parte di UE e Italia in prima fila che portano morte dei migranti in fuga (a fine febbraio un naufragio ha portato la morte di 50 persone), ma profughi invisibili, ricacciati nei lager libici finanziati dall’Italia, nell’indifferenza generale

alcune info:

Secondo quanto riporta agenzia nova, “è alta tensione in Libia per il possibile scoppio di un conflitto armato tra due coalizioni rivali: da una parte il Governo di unità nazionale (Gun) del premier uscente Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dall’Onu; dall’altra il nuovo Governo di stabilità nazionale (Gsn), sostenuto dall’Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar (sostenuto dalla Russia che ha sul terreno le truppe mercenarie della Wagner, ndr) e dalla presidenza del Parlamento di Tobruk. Il premier designato Fathi Bashagha (appoggiato dalla Turchia e dalla Russia, ndr), già ministro dell’Interno, si troverebbe in una località sconosciuta della Tripolitania, forse Zintan, circa 140 chilometri a sud ovest di Tripoli, in attesa di entrare nella capitale grazie ad accordi stretti con milizie e gruppi armati” (10 Marzo).

domenica si terrà un incontro tra Bashagha e Dabaiba in Turchia (Dabaiba ha accettato solo dopo aver avuto garanzie sul fatto che la nomina a premier di Bashagha non sarà oggetto di discussione nell’incontro)

Inoltre le forze di Haftar hanno testato un missile balistico della gittata di 300 chilometri: i test sono avvenuti a Soluq, cittadina situata a circa 50 chilometri a sud di Bengasi, con i missili che sono stati lanciati verso bersagli piazzati a sud della città di Tobruk, distante circa 300 chilometri (8 marzo)

l’Unione dei lavoratori del settore petrolifero della Libia ha annunciato in una nota il proprio appoggio al nuovo esecutivo Bashagha. Una dichiarazione, quella del sindacato, che parrebbe influenzata dal ministro del Petrolio del Gun, Mohamed Aoun, il quale ha recentemente espresso sostegno al governo di Bashagha. Da notare che Aoun ha da tempo cooptato i sindacati del petrolio e del gas nel tentativo di esercitare pressioni sul presidente della National Oil Corporation (Noc), Mustafa Sanallah, suo rivale.

l’annuncio del ministero del Petrolio della riapertura dei giacimenti di Sharara ed El Feel dopo un incontro del ministro, Mohamed Aoun, con i leader militari e i dignitari della Libia sud-occidentale. Sharara è il più grande giacimento petrolifero della Libia, è gestito dalla joint venture Akakus, che riunisce la libica National Oil Corporation, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil e da solo vanta una produzione di circa 300 mila barili al giorno. El Feel, gestito da Mellitah Oil and Gas, una joint venture tra la libica Noc ed Eni, produce a regime circa 70 mila barili di petrolio al giorno. Le valvole di pompaggio dei giacimenti di El Sharara e El Feel sono state precedentemente chiuse da alcuni miliziani.

Kazakistan: appoggiamo e solidarizziamo con la rivolta popolare contro il governo e il regime sostenuto dall’imperialismo russo

Prima valutazione e info da un compagno della redazione di proletari comunisti

Terrorista è il regime affamapopolo!

Noi, gente comune, non siamo terroristi!

I lavoratori e le masse kazake si sono sollevati contro il regime affamapopolo della cricca  Nazarbayev/ Tokayev sostenuti dall’imperialismo russo. La scintilla che ha infiammato la rivolta è stata la decisione da parte del governo di aumentare il prezzo del GPL, un provvedimento volto a garantire i profitti al clan al potere da 30 anni, che sono a capo del monopolio in ogni settore dell’economia, in particolare petrolio e gas e per consolidare, così, privilegi e corruzione, mentre i lavoratori e le masse oppresse e sfruttate continuano a sprofondare nella miseria, aggravata dalla pandemia. In questi anni non poteva che crescere via via il disprezzo e l’odio delle masse verso i privilegi della cricca di banditi e parassiti al potere.

Proletari, disoccupati e masse hanno assaltato negozi e banche, edifici governativi, la sede del dipartimento di polizia, hanno saccheggiato armerie, si sono scontrati duramente con la polizia ad Almaty e hanno ingaggiato battaglie di strada ad Alma Ata. Ad Aktau le masse hanno bloccato la strada per l’aeroporto.

Le difficoltà della pandemia e gli aumenti dei prezzi – che hanno spinto i tassi di interesse al 9,75% – hanno peggiorato ancora di più le condizioni delle masse, il materiale infiammabile su cui si è innestata la decisione del governo.

La prima scintilla delle proteste si è accesa il 2 gennaio a Zhanaozen, nel Sud-Ovest petrolifero del Kazakhstan, regione di Mangistau, dove la stragrande maggioranza dei veicoli va a gas di petrolio liquefatto, nel giro di pochi giorni il prezzo del GPL è raddoppiato, da 60 a 120 tenge al litro (da 0,12 a 0,24 centesimi di euro). In un Paese in cui il salario medio è sui 250.000 tenge (506 euro), ma dove molti contano su redditi non superiori all’equivalente di 100-150 euro.

Quando il Governo ha cercato di correre ai ripari, riversando la colpa sull’avidità delle compagnie energetiche e dei distributori e ha ripristinato il prezzo di 50 tenge al litro, era ormai troppo tardi. Da Zhanaozen la protesta era già dilagata nei villaggi e città della regione, il porto di Aktau sul Caspio, Atyrau e Aktobe. Nel Nord e nel Sud del Kazakhstan, fino ad Almaty, l’ex capitale.

Lungo il cammino, la protesta ha assunto una matrice politica con i lavoratori in prima fila.

La lotta contro il regime si è estesa e rafforzata con scioperi e manifestazioni nella notte del 4 gennaio quando gli operai sono scesi in piazza ad Almaty, nella regione di Mangghystau, affacciata sul Mar Caspio, nell’ovest del Kazakistan e in altre città e regioni del Kazakistan. A Shymkent i camionisti hanno bloccato le strade. 

Ai lavoratori petroliferi in sciopero del Kazakistan occidentale si sono uniti i minatori. Nel frattempo, i lavoratori del petrolio in sciopero bloccavano ferrovia ed autostrada del campo di Tengiz, bloccando il passaggio di manager stranieri e della polizia, nelle fonderie di rame della società Kazakhmys ci sono stati scioperi e manifestazioni, con gli operai che chiedevano un aumento del 100% dei salari.

Questi scioperi sono scioperi politici perché hanno come obiettivo la caduta del regime del presidente Tokayev, fantoccio di Nazarbajev. Nazarbajev, chiamato Nursultan, letteralmente «il Sultano di Luce», è il leader del partito dominante, Nur Otan (“Patria luminosa”), capo del potente Consiglio di sicurezza nazionale, padre-padrone che ha venduto il suo paese all’imperialismo, si è arricchito lui e ha ingrassato la sua numerosa famiglia, che si è appropriata delle ricchezze di un Paese ricco di risorse energetiche, la principale economia dell’Asia Centrale.

I manifestanti hanno urlato “via il vecchio” – riferendosi proprio a lui – , rivendicano l’immediato rilascio di tutti i prigionieri politici, la formazione di un governo provvisorio e il ritiro dall’alleanza con la Russia. Ma la risposta del regime è la violenta repressione in un bagno di sangue e le migliaia di arresti. Il presidente Tokayev ha autorizzato le forze dell’ordine ad aprire il fuoco sui manifestanti e a sparare per uccidere: “Coloro che non si arrendono saranno eliminati”.

Il clan al potere, corrotto e fascista, è al servizio dell’imperialismo e si mantiene da trent’anni al potere con la repressione. Ma gli operai e le masse non hanno mai smesso di lottare contro di esso. Nel recente passato ci sono state dure lotte contro i padroni del petrolio e, nel 2011, queste hanno riguardato lo scontro anche contro l’imperialismo italiano al servizio del capitalismo monopolistico di Stato dell’ENI.

I profitti e la violazione dei diritti degli operai da parte dell’ENI e la sua feroce repressione

Il Kazakistan ha alcuni dei più grandi giacimenti petroliferi della terra e oltre il 40% della produzione mondiale di uranio ma queste ricchezze non sono per le masse. Il giacimento petrolifero di Tengiz, nella parte occidentale del Paese vicino al Mar Caspio, è uno dei più grandi al mondo. Chevron ed Exxon Mobil, le due più grandi compagnie petrolifere americane, sono nel mezzo di un’espansione stimata di 37 miliardi di dollari nel giacimento di Tengiz. Anche Exxon, Shell, la francese Total e l’italiana Eni sono tutti azionisti di un altro enorme giacimento, Kashagan, nel Caspio.

I lavoratori kazaki hanno pagato duramente con morti e con una feroce repressione il fatto di avere scioperato qualche anno fa contro i monopoli imperialisti e, in particolare, contro l’ENI, come riporta il Corriere della sera 10 SETTEMBRE del 2012: “Kazakistan, violati i diritti dei lavoratori. Un rapporto di Human Rights Watch accusa anche l’Eni

“I diritti di migliaia di lavoratori del settore petrolifero kazako sono violati da leggi repressive e da pratiche illegali da parte di tre società petrolifere operanti nella parte occidentale del Paese, tra cui la Ersai Caspian Contractor Llc, una compagnia parzialmente di proprietà della Saipem (gruppo Eni).   Lo ha denunciato l’organizzazione Human Rights Watch (Hrw). Violazioni che, secondo Hrw, hanno portato a scioperi, licenziamenti di massa e proteste che, il 16 dicembre scorso, sono degenerate in violenti scontri nella cittadina di Zhanaozen, nel Kazakistan occidentale (nella foto uno sciopero nell’ottobre del 2011). Al termine della giornata sul terreno rimasero dodici operai uccisi e parecchie decine feriti dalla polizia.

Il rapporto, basato su due missioni in loco con 64 lavoratori intervistati dagli inviati di Hrw, mette a fuoco i sistematici comportamenti antisindacali e le continue violazioni dei diritti dei lavoratori da parte delle tre aziende e in particolare della Ersai Caspian controllata dall’Eni, che hanno rifiutato ogni trattativa con i sindacati attuando inoltre licenziamenti di massa tra quanti scioperavano pacificamente”.  

Basta repressione! NO all’intervento della Russia!

La Russia sta intervenendo in Kazakistan (che, come tutti gli imperialisti, chiama missione di “pace”), “su richiesta” del presidente kazako. Questo è il suo primo intervento militare dal 1992, l’anno della sua fondazione, attraverso le forze della Collective Security Treaty Organization (CSTO), la NATO russa, per mantenere in piedi il regime fantoccio odiato da proletari e masse e imporre il suo tallone di ferro imperialista per reprimere la rivolta.

Imperialisti, il socialimperialismo, i regimi reazionari sono tutti contro la rivolta e a favore del regime: il boia Erdogan, in qualità del presidente di turno dell’Organizzazione degli Stati turchi, ha espresso solidarietà al regime, così come il primo ministro armeno presidente di turno del Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO si è allineato su una posizione interventista, la Cina, minacciata nei suoi interessi per il petrolio, è disposta a offrire tutto il supporto necessario» «a superare le recenti difficoltà» negli “affari interni” del Kazakhstan.

Denunciamo stampa e tv italiana e dei paesi imperialisti che fanno da megafono del presidente kazako parlando di “proteste soffocate” e giustificano l’intervento repressivo “per la violenza dei manifestanti”, contro gli agitatori della rivolta, contro “le bande di terroristi addestrati all’estero” e che chiamano “truppe di pace” i militari russi….

Proletari, disoccupati e masse in Kazakistan stanno mostrando al mondo intero lo spettro della rivolta che si esprime con la giusta e necessaria violenza, che fa paura alla borghesia al potere e che noi vogliamo che si radicalizzi sempre più ed esploda anche qui, nel nostro paese, perché è l’unica strada per risollevare le masse dal carovita, dall’attacco al lavoro, ai salari, dalla disoccupazione, e che rende chiare le parole d’ordine: “noi la crisi non la paghiamo” e “ribellarsi è giusto!”.

Alla violenza del potere dei padroni le masse proletarie rispondono, perché è inevitabile, con la giusta e necessaria violenza contro governi e Stati dei borghesi che esistono solo per mantenere in piedi il loro putrido sistema che non permette più alle masse di vivere.

La questione centrale su cui si misurano ora e sempre le rivolte è lo Stato che, come ci ha insegnato il grande Lenin, “è un organo, uno strumento di violenza di una classe su un’altra. Fino a quando esso è la macchina della violenza della borghesia sul proletariato non vi può essere che una sola parola d’ordine proletaria: distruzione di questo Stato”. Le rivolte generose, eroiche, spontanee, dei proletari e delle masse oppresse, che sono già un passo in avanti rispetto alle proteste, si misureranno con questa questione, purtroppo anche pagandone costi molto alti per la feroce repressione.

Da noi comunisti tutto l’appoggio necessario e la solidarietà incondizionata ai proletari e alle masse kazake!

In Libia, i governi imperialisti UE e l’Italia in particolare, stanno buttando ancora benzina sul fuoco

per alimentare il caos e mettere le mani sul petrolio. Info e notizie

Per il suo miserabile “posto al sole” tra gli imperialisti in Libia, in spregio alle pesanti accuse dell’ennesimo rapporto dell’ONU, l’Italia porta avanti i respingimenti verso i migranti finanziando e coprendo le bande criminali che chiamano guardia costiera. Dall’inferno dei lager libici le notizie sono sempre più allarmanti nonostante l’impedimento all’accesso umanitario e al monitoraggio da parte delle agenzie umanitarie. Nessuna pietà neanche per i bambini. «Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ha riferito che i bambini – scrive Guterres nel suo ultimo dossier (Unsmil) – hanno continuato a essere detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione a Tripoli e dintorni, senza accesso alla protezione di base e ai servizi sanitari e senza ricorso all’assistenza legale o al giusto processo, e spesso sono stati detenuti con gli adulti». Quasi non c’è più alcuna distinzione tra uomini in uniforme e trafficanti. «Le donne migranti e rifugiate hanno continuato ad affrontare un rischio elevato di stupro, molestie sessuali e traffico da parte di gruppi armati, contrabbandieri e trafficanti transnazionali, nonché funzionari della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale sotto il ministero dell’Interno». Le donne vengono stuprate dalle guardie oppure costrette ad atti sessuali in cambio di cibo e acqua. Le guardie impediscono loro di usare i bagni per diverse ore e questo succede anche alle donne incinte. Quelle che provano a resistere vengono picchiate.

17 settembre-nell’ultima settimana, più di 800 persone sono state intercettate e deportate nell’inferno della Libia dalla cd. Guardia costiera. Delle 24.000 persone catturate quest’anno, 6.000 sono in detenzione arbitraria. Delle altre non si sa nulla.

L’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite ) afferma che il numero di immigrati intercettati e rientrati in Libia fino all’agosto di quest’anno è più del doppio rispetto al 2020, quando più di 11.890 sono stati riportati sulle coste libiche.

Le infami dichiarazioni di Draghi sull’ “obbligo morale” di tutelare chi vuol lasciare l’Afghanistan è una provocazione rispetto ai migranti torturati dai criminali pagati dal suo governo, dal parlamento, dallo Stato al servizio della borghesia imperialista italiana. Il governo italiano non ha lo stesso “obbligo morale” nei confronti di chi scappa dalla fame e dalle guerre create dagli stessi imperialisti!

Cooperazione militare e profitti del petrolio e della “ricostruzione” vanno avanti. La Libia ha bisogno di 200 miliardi di dollari per progetti di ricostruzione, ha affermato il ministro dell’Economia Mohammed al-Hawij, parlando “sotto dettatura” della Banca mondiale e delle istituzioni locali.

Il ministro della Difesa italiano si recherà in visita in Libia per discutere di cooperazione militare.

“Garantire stabilità istituzionale, sicurezza dei lavoratori e certezza dei pagamenti sono precondizioni essenziali per rilanciare gli investimenti in Libia”, ha detto il ministro Giorgetti nell’incontro con il Vice Presidente del Consiglio presidenziale, Abdallah Husain Al-Lafi il 15 settembre.

La Francia ospiterà una conferenza internazionale sulla Libia il 12 novembre, assieme alla Germania e all’Italia, come ha riferito il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian a Reuters.

Le elezioni e il governo-fantoccio sempre più in crisi. Il capo del Consiglio presidenziale libico, Khalid Al-Mishri, ha proposto lunedì in una conferenza stampa a Tripoli di rinviare le elezioni presidenziali a dopo aver condotto il referendum costituzionale, dicendo che solo le elezioni parlamentari dovrebbero tenersi alla data fissata del 24 dicembre.

La Camera dei rappresentanti (Hor) di Tobruk (Cirenaica) ha approvato una mozione di sfiducia contro il Governo di unità nazionale di Tripoli e al suo premier `Abd ül-Ḥamīd Dabeybah. Su 113 deputati presenti, in 89 hanno votato per il ritiro della fiducia.

Guerra per il petrolio. I vertici della National Oil Corporation (Noc), l’unica compagnia libica a fornire introiti al Paese membro del cartello petrolifero Opec, sono stati scossi da un terremoto che ha rischiato di far scoppiare il bubbone dell’oro nero. Il ministro del Petrolio e del Gas del governo di unità nazionale libico, Mohamed Aoun, ha cercato di detronizzare Mustafa Sanallah, suo rivale di vecchia data, per insediare al posto di quest’ultimo Jadallah al Awkali, membro del Consiglio di amministrazione in quota Cirenaica. Sanallah non solo non si è dimesso, ma è stato confermato dal premier Dbeibah.

Sul terreno proseguono gli scontri armati. A Tripoli, il 3 e l’8 settembre, curiosamente sempre mentre il premier Abdulhamid Dbeibah era fuori Tripoli, la capitale è stata teatro di scontri tra gruppi armati rivali. In particolare, il ministero della Salute del Governo di unità nazionale della Libia (Gnu) è stato occupato dalla 444ma Brigata, gruppo armato comandato dal capitano Mahmoud Hamza, miliziano seguace dell’Islam salafita in contrasto con l’Autorità di supporto alla stabilità (Ass) di Abdelghani al Kikli, potente signore della guerra libico al servizio del Consiglio presidenziale.

Venerdì 3 settembre scontro tra i miliziani del Fronte per l’alternanza e la concordia del Ciad (Fact) e la brigata Tariq Bin Ziyad dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), fedele al generale Khalifa Haftar, nei pressi di Tmassah, a sud di Sebha, il capoluogo della regione sud-occidentale libica del Fezzan. Fino a pochi mesi fa, i ciadiani erano alleati di Haftar. Così come la milizia Kankyat. Tutti sono stati eliminati dalla brigata TBZ. Haftar aiuta le forze francesi contro i ribelli del Ciad

Il 15 settembre, il Premier libico del Governo di unità nazionale (Gnu) Abdul Hamid Dbeibah ha ricevuto a Tripoli, presso la sede del Ministero della Difesa, una delegazione statunitense di alto livello guidata da Derek Chollet, Consigliere del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, accompagnato dall’Ambasciatore Usa in Libia Richard Norland.

Il caos armato coinvolge l’intera area del Sahel con il Mali trasformato nel nuovo Afghanistan dagli imperialisti. Ma su questo ritorneremo con altri articoli

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