Kazakistan: appoggiamo e solidarizziamo con la rivolta popolare contro il governo e il regime sostenuto dall’imperialismo russo

Prima valutazione e info da un compagno della redazione di proletari comunisti

Terrorista è il regime affamapopolo!

Noi, gente comune, non siamo terroristi!

I lavoratori e le masse kazake si sono sollevati contro il regime affamapopolo della cricca  Nazarbayev/ Tokayev sostenuti dall’imperialismo russo. La scintilla che ha infiammato la rivolta è stata la decisione da parte del governo di aumentare il prezzo del GPL, un provvedimento volto a garantire i profitti al clan al potere da 30 anni, che sono a capo del monopolio in ogni settore dell’economia, in particolare petrolio e gas e per consolidare, così, privilegi e corruzione, mentre i lavoratori e le masse oppresse e sfruttate continuano a sprofondare nella miseria, aggravata dalla pandemia. In questi anni non poteva che crescere via via il disprezzo e l’odio delle masse verso i privilegi della cricca di banditi e parassiti al potere.

Proletari, disoccupati e masse hanno assaltato negozi e banche, edifici governativi, la sede del dipartimento di polizia, hanno saccheggiato armerie, si sono scontrati duramente con la polizia ad Almaty e hanno ingaggiato battaglie di strada ad Alma Ata. Ad Aktau le masse hanno bloccato la strada per l’aeroporto.

Le difficoltà della pandemia e gli aumenti dei prezzi – che hanno spinto i tassi di interesse al 9,75% – hanno peggiorato ancora di più le condizioni delle masse, il materiale infiammabile su cui si è innestata la decisione del governo.

La prima scintilla delle proteste si è accesa il 2 gennaio a Zhanaozen, nel Sud-Ovest petrolifero del Kazakhstan, regione di Mangistau, dove la stragrande maggioranza dei veicoli va a gas di petrolio liquefatto, nel giro di pochi giorni il prezzo del GPL è raddoppiato, da 60 a 120 tenge al litro (da 0,12 a 0,24 centesimi di euro). In un Paese in cui il salario medio è sui 250.000 tenge (506 euro), ma dove molti contano su redditi non superiori all’equivalente di 100-150 euro.

Quando il Governo ha cercato di correre ai ripari, riversando la colpa sull’avidità delle compagnie energetiche e dei distributori e ha ripristinato il prezzo di 50 tenge al litro, era ormai troppo tardi. Da Zhanaozen la protesta era già dilagata nei villaggi e città della regione, il porto di Aktau sul Caspio, Atyrau e Aktobe. Nel Nord e nel Sud del Kazakhstan, fino ad Almaty, l’ex capitale.

Lungo il cammino, la protesta ha assunto una matrice politica con i lavoratori in prima fila.

La lotta contro il regime si è estesa e rafforzata con scioperi e manifestazioni nella notte del 4 gennaio quando gli operai sono scesi in piazza ad Almaty, nella regione di Mangghystau, affacciata sul Mar Caspio, nell’ovest del Kazakistan e in altre città e regioni del Kazakistan. A Shymkent i camionisti hanno bloccato le strade. 

Ai lavoratori petroliferi in sciopero del Kazakistan occidentale si sono uniti i minatori. Nel frattempo, i lavoratori del petrolio in sciopero bloccavano ferrovia ed autostrada del campo di Tengiz, bloccando il passaggio di manager stranieri e della polizia, nelle fonderie di rame della società Kazakhmys ci sono stati scioperi e manifestazioni, con gli operai che chiedevano un aumento del 100% dei salari.

Questi scioperi sono scioperi politici perché hanno come obiettivo la caduta del regime del presidente Tokayev, fantoccio di Nazarbajev. Nazarbajev, chiamato Nursultan, letteralmente «il Sultano di Luce», è il leader del partito dominante, Nur Otan (“Patria luminosa”), capo del potente Consiglio di sicurezza nazionale, padre-padrone che ha venduto il suo paese all’imperialismo, si è arricchito lui e ha ingrassato la sua numerosa famiglia, che si è appropriata delle ricchezze di un Paese ricco di risorse energetiche, la principale economia dell’Asia Centrale.

I manifestanti hanno urlato “via il vecchio” – riferendosi proprio a lui – , rivendicano l’immediato rilascio di tutti i prigionieri politici, la formazione di un governo provvisorio e il ritiro dall’alleanza con la Russia. Ma la risposta del regime è la violenta repressione in un bagno di sangue e le migliaia di arresti. Il presidente Tokayev ha autorizzato le forze dell’ordine ad aprire il fuoco sui manifestanti e a sparare per uccidere: “Coloro che non si arrendono saranno eliminati”.

Il clan al potere, corrotto e fascista, è al servizio dell’imperialismo e si mantiene da trent’anni al potere con la repressione. Ma gli operai e le masse non hanno mai smesso di lottare contro di esso. Nel recente passato ci sono state dure lotte contro i padroni del petrolio e, nel 2011, queste hanno riguardato lo scontro anche contro l’imperialismo italiano al servizio del capitalismo monopolistico di Stato dell’ENI.

I profitti e la violazione dei diritti degli operai da parte dell’ENI e la sua feroce repressione

Il Kazakistan ha alcuni dei più grandi giacimenti petroliferi della terra e oltre il 40% della produzione mondiale di uranio ma queste ricchezze non sono per le masse. Il giacimento petrolifero di Tengiz, nella parte occidentale del Paese vicino al Mar Caspio, è uno dei più grandi al mondo. Chevron ed Exxon Mobil, le due più grandi compagnie petrolifere americane, sono nel mezzo di un’espansione stimata di 37 miliardi di dollari nel giacimento di Tengiz. Anche Exxon, Shell, la francese Total e l’italiana Eni sono tutti azionisti di un altro enorme giacimento, Kashagan, nel Caspio.

I lavoratori kazaki hanno pagato duramente con morti e con una feroce repressione il fatto di avere scioperato qualche anno fa contro i monopoli imperialisti e, in particolare, contro l’ENI, come riporta il Corriere della sera 10 SETTEMBRE del 2012: “Kazakistan, violati i diritti dei lavoratori. Un rapporto di Human Rights Watch accusa anche l’Eni

“I diritti di migliaia di lavoratori del settore petrolifero kazako sono violati da leggi repressive e da pratiche illegali da parte di tre società petrolifere operanti nella parte occidentale del Paese, tra cui la Ersai Caspian Contractor Llc, una compagnia parzialmente di proprietà della Saipem (gruppo Eni).   Lo ha denunciato l’organizzazione Human Rights Watch (Hrw). Violazioni che, secondo Hrw, hanno portato a scioperi, licenziamenti di massa e proteste che, il 16 dicembre scorso, sono degenerate in violenti scontri nella cittadina di Zhanaozen, nel Kazakistan occidentale (nella foto uno sciopero nell’ottobre del 2011). Al termine della giornata sul terreno rimasero dodici operai uccisi e parecchie decine feriti dalla polizia.

Il rapporto, basato su due missioni in loco con 64 lavoratori intervistati dagli inviati di Hrw, mette a fuoco i sistematici comportamenti antisindacali e le continue violazioni dei diritti dei lavoratori da parte delle tre aziende e in particolare della Ersai Caspian controllata dall’Eni, che hanno rifiutato ogni trattativa con i sindacati attuando inoltre licenziamenti di massa tra quanti scioperavano pacificamente”.  

Basta repressione! NO all’intervento della Russia!

La Russia sta intervenendo in Kazakistan (che, come tutti gli imperialisti, chiama missione di “pace”), “su richiesta” del presidente kazako. Questo è il suo primo intervento militare dal 1992, l’anno della sua fondazione, attraverso le forze della Collective Security Treaty Organization (CSTO), la NATO russa, per mantenere in piedi il regime fantoccio odiato da proletari e masse e imporre il suo tallone di ferro imperialista per reprimere la rivolta.

Imperialisti, il socialimperialismo, i regimi reazionari sono tutti contro la rivolta e a favore del regime: il boia Erdogan, in qualità del presidente di turno dell’Organizzazione degli Stati turchi, ha espresso solidarietà al regime, così come il primo ministro armeno presidente di turno del Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO si è allineato su una posizione interventista, la Cina, minacciata nei suoi interessi per il petrolio, è disposta a offrire tutto il supporto necessario» «a superare le recenti difficoltà» negli “affari interni” del Kazakhstan.

Denunciamo stampa e tv italiana e dei paesi imperialisti che fanno da megafono del presidente kazako parlando di “proteste soffocate” e giustificano l’intervento repressivo “per la violenza dei manifestanti”, contro gli agitatori della rivolta, contro “le bande di terroristi addestrati all’estero” e che chiamano “truppe di pace” i militari russi….

Proletari, disoccupati e masse in Kazakistan stanno mostrando al mondo intero lo spettro della rivolta che si esprime con la giusta e necessaria violenza, che fa paura alla borghesia al potere e che noi vogliamo che si radicalizzi sempre più ed esploda anche qui, nel nostro paese, perché è l’unica strada per risollevare le masse dal carovita, dall’attacco al lavoro, ai salari, dalla disoccupazione, e che rende chiare le parole d’ordine: “noi la crisi non la paghiamo” e “ribellarsi è giusto!”.

Alla violenza del potere dei padroni le masse proletarie rispondono, perché è inevitabile, con la giusta e necessaria violenza contro governi e Stati dei borghesi che esistono solo per mantenere in piedi il loro putrido sistema che non permette più alle masse di vivere.

La questione centrale su cui si misurano ora e sempre le rivolte è lo Stato che, come ci ha insegnato il grande Lenin, “è un organo, uno strumento di violenza di una classe su un’altra. Fino a quando esso è la macchina della violenza della borghesia sul proletariato non vi può essere che una sola parola d’ordine proletaria: distruzione di questo Stato”. Le rivolte generose, eroiche, spontanee, dei proletari e delle masse oppresse, che sono già un passo in avanti rispetto alle proteste, si misureranno con questa questione, purtroppo anche pagandone costi molto alti per la feroce repressione.

Da noi comunisti tutto l’appoggio necessario e la solidarietà incondizionata ai proletari e alle masse kazake!

Lascia un commento

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora